Amman Anche in Giordania, e perfino in Siria, spira il vento della rivolta. Messo sotto pressione da migliaia di manifestanti che ispirati dagli eventi in Tunisia e Egitto sono scesi in piazza ogni venerdì da tre settimane, re Abdallah di Giordania ha ceduto: ha silurato il premier Samir Rifai, inviso allopposizione soprattutto per la sua politica economica e lo ha rimpiazzato con un ex generale, Marouf Bakhit, che dovrà portare avanti, ha detto il sovrano, «vere riforme». Bakhit, 64 anni, è stato già alla guida del governo, nel 2005, dopo gli attacchi di Al Qaida contro tre hotel ad Amman che causarono la morte di oltre 50 persone. Già ambasciatore in Turchia e in Israele, ha condotto unaspra guerra al movimento islamico
Le prime reazioni degli islamici non sono state però incoraggianti. «È una notizia che suscita disappunto», ha affermato a caldo Jamil Abu Baker, portavoce dei Fratelli Musulmani, che in passato ha avuto relazioni tese con Bakhit, mentre il Fronte di azione islamica, principale forza di opposizione, ha affermato che Bakhit «non è un riformatore».«Noi - ha detto il segretario Hamzeh Mansour- riconosciamo la legittimità degli hascemiti», ovvero della famiglia reale. «Non ci sono parallelismi tra Giordania ed Egitto, dove il popolo domanda un cambiamento di regime. Però - ha sottolineato - vogliamo riforme politiche e di governo». Secondo diverse stime, il 25 per cento della popolazione in Giordania vive nella povertà, e la disoccupazione è ufficialmente al 15 per cento, ma la realtà sarebbe peggiore.
Perfino nella blindata Siria, dove Facebook è al bando, cominciano a vedersi i segni di una possibile sfida al regime pluridecennale degli Assad.
È una chiamata a una «giornata della Rabbia» siriana quella che si sta diffondendo in queste ore su Internet, sulla scia delle proteste antigovernative in Tunisia ed Egitto. Sui social network - cui molti giovani utenti riescono a collegarsi con degli stratagemmi - sono stati pubblicati alcuni appelli a radunarsi pacificamente nel centro di Damasco il 4 e 5 febbraio, per chiedere al governo di Bashar al-Assad «la fine dello stato demergenza e della corruzione in Siria».
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