A Taiwan trionfano i nazionalisti «Pace con la Cina? Non adesso»

Ma Ying-Jeou è tra i meno ostili a Pechino però avvisa: «Togliete i missili puntati contro di noi»

A Taiwan trionfano i nazionalisti «Pace con la Cina? Non adesso»

da Taipei

Il candidato del principale partito di opposizione, il nazionalista Ma Ying-jeou, ha stravinto le elezioni ed è il nuovo presidente di Taiwan. I due referendum sull’adesione dell’isola all’Onu, proposti uno dal Kuomintang, il partito di Ma, e l’altro dai suoi rivali del Partito Democratico Progressista (Dpp), sono stati sconfitti, non avendo ottenuto il quorum previsto dalla legge taiwanese. Si tratta del migliore risultato possibile per Pechino. Ma il sospiro di sollievo dei dirigenti cinesi per lo scampato pericolo - dopo la crisi nel Tibet, una vittoria delle «forze secessioniste» a Taiwan sarebbe stato un colpo molto duro per il presidente Hu Jintao - deve essere durato poco. Nella prima dichiarazione da presidente eletto Ma, un avvocato nato ad Hong Kong 57 anni fa, ha infatti annunciato che firmerà un trattato di pace con Pechino solo se questa ritirerà i circa mille missili che tiene schierati contro l’isola. È chiaro che per Pechino le cose non saranno facili neanche ora che i «secessionisti» del Dpp sono stati sconfitti dopo aver trascorso otto anni al potere. La settimana scorsa, Ma ha minacciato il boicottaggio delle Olimpiadi se nel Tibet «non cesserà la repressione».
Taiwan è di fatto indipendente dal 1949, quando i superstiti del Kuomintang decimati dai comunisti di Mao Zedong vi si rifugiarono. Quella che chiamano la «riunificazione» - l’annessione di Taiwan - è considerata dai dirigenti cinesi una prospettiva irrinunciabile e più volte hanno minacciato l’intervento militare in caso di dichiarazione formale di indipendenza. L’offerta di un trattato di pace è stata lanciata lo scorso ottobre dal presidente Hu. «Prima di parlare di pace, è necessario rimuovere la minaccia», ha detto il presidente eletto ad un gruppo di giornalisti. Il Kuomintang, partito nato e cresciuto nella Cina continentale, sostiene infatti la riunificazione ma solo quando la Cina sarà diventata democratica. L’ascesa di Ma permetterà comunque di rafforzare i legami tra le cosiddette «due parti dello Stretto». Gli imprenditori di Taiwan, educati negli Usa ed in Giappone e protagonisti di un miracolo economico negli anni ’70, hanno dato un contributo fondamentale alla crescita economica della Repubblica Popolare e il presidente eletto ha promesso loro che le relazioni (ed i loro profitti) miglioreranno. Ma ha vinto col 58% dei voti contro il 42% del suo rivale Frank Hsie del Partito Democratico Progressista (Dpp). Il Kuomintang già controlla il Parlamento con una consistente maggioranza.
Le elezioni segnano l’uscita di scena (almeno temporanea) di Chen Shui-bian, fondatore del Dpp e sostenitore dell’indipendenza, un politico abile e cinico, che ha mantenuto solo in parte le promesse che lo hanno portato per due volte al potere. Per prima cosa lo attende un processo per corruzione, al quale l’anno scorso è scampato solo grazie all’immunità presidenziale. Le elezioni presidenziali sono state osservate con attenzione dalla comunità internazionale, preoccupata dalla possibilità dell’aprirsi di un fronte di tensione con la Cina, mentre rimane aperta la ferita del Tibet.

Gli Usa riconoscono la Repubblica Popolare come «unica» Cina ma hanno mantenuto forti legami commerciali con Taiwan e una legge, il Taiwan Relations Act, li obbliga ad intervenire a fianco dell’isola in caso di attacco cinese. Washington ha inviato nella regione due navi da guerra per «esercitazioni». E Bush si è subito complimentato con il vincitore.

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