Tali padri, tali figli? Non sempre è così Se l’esempio di mamma e papà fa cilecca

Una lettrice racconta come i suoi figli siano cresciuti in modo ben diverso da come lei e il marito li hanno educati È un problema di tutti: spesso non è sufficiente comportarsi nella maniera «giusta». Perché la libertà prevale

Tali padri, tali figli? Non sempre è così 
Se l’esempio di mamma e papà fa cilecca
Gentile e cara signora Di Nunzio, leggo con amichevole comprensione e qualche angoscia la sua bella lettera, così priva di retorica. L’angoscia mi viene dal fatto che condivido i suoi dubbi e le sue domande. Mia moglie e io le affrontiamo ogni giorno, anche se per noi non sembra ancora venuto il momento di condividere i suoi problemi. Come i lettori del Giornale sanno bene, ho un figlio di 4 anni e mezzo, Nicola. Ovviamente, però, ci poniamo già le questioni che lei sta dolorosamente affrontando. Infatti l’esempio dei genitori dovrebbe essere - quand’è buono, come nel vostro caso - il modo migliore per formare i figli.

Per la verità, la mia esperienza personale di figlio è diversa, e gliela racconto non per scoraggiarla né per consolarla, ma per cercare di capirci qualcosa, insieme. In casa mia, di libri ne circolavano pochissimi, se non qualche giallo: ebbene, ho scelto come professione - amatissima - di scriverli e leggerli. Al contrario, non ho mai seguito i due ragionevoli capisaldi dell’educazione impartitami dai miei semplici e buoni genitori. Il primo era un proverbio: «Finirono le fave al locco...»; il locco era un uccello che aveva mille silos con un milione di fave in ognuno; ne mangiava una al giorno ma, siccome non lavorava, finì per morire di fame. Il gusto del lavoro ce l’ho, ma le mani bucate ne hanno vanificato i risultati economici. L’altro principio educativo era: «Meglio avere paura che prenderne», ovvero sii accorto e prudente: non l’ho mai fatto anzi, mi è sempre bastato intravvedere un azzardo per corrergli dietro e davanti.
Badi che con questo non intendo dire che dai figli si ottiene esattamente il contrario di quello che gli si insegna. È vero piuttosto, credo, che oltre all’esempio familiare contino le predisposizioni individuali e i condizionamenti sociali.

Quanto alle prime le posso dire, e non per consolarla, che fino al termine dell’adolescenza sono stato a dir poco un discolo, fonte di continue preoccupazioni per i miei, e che ho cominciato a studiare davvero soltanto all’università. A volte, insomma, più che l’esempio, può la libera scelta individuale, adulta e consapevole, e non è affatto detto che i suoi figli continuino per la strada apparentemente presa finora.

Conta invece moltissimo il contesto sociale in cui si cresce: ovvero, l’ambiente e l’epoca. Per esempio, noi abbiamo cercato in tutti i modi di tenere Nicola lontano da certi cartoni violenti e distorcenti - piuttosto che arricchenti - la fantasia: come Ben10, immagino lei lo conosca, storie di mostri e di alieni. Eravamo riusciti sempre a tenere lontano dallo schermo del bambino quella serie, ma un giorno Nicola è tornato dalla scuola (seconda materna) ripetendo ossessivamente che voleva vedere Ben10, di cui conosceva ormai quasi tutti i nomi dei protagonisti. La soluzione migliore ci è parso farlo assistere allo spettacolo tanto ambito, standogli accanto e guidandolo finché non gli fosse venuto a noia, alternando i cartoni con buoni film, finché anche nella sua testa la qualità finisse per prevalere; e così sta lentamente avvenendo.

Ora viviamo nel timore che un giorno torni a casa gridando «Forza Roma!» (o Milan, o Juventus), ma quando accadrà, faremo fronte nello stesso modo, magari proponendogli di imparare il rugby. Non ci sono molti altri sistemi per difendersi dall’immaginario collettivo, dalle influenze della società dello spettacolo e del consumo. Stare con i figli il più possibile, parlargli, proporre sempre un’alternativa migliore. E stare molto, molto attenti alle loro amicizie e frequentazioni.

Immagino che lei e suo marito lo stiate già facendo, e vi auguro una buona sorte. Con il consiglio di non sentirvi colpevoli se non tutto andrà per il verso giusto: non è vero che l’esempio dei genitori sia sufficiente, da solo.

Né se la prenda, gentile e cara signora Di Nunzio, se allargo il discorso a una problematica più vasta, che di certo non la riguarda. Due bambini di 10 e 13 anni sono stati sorpresi dai carabinieri mentre lanciavano sassi da un cavalcavia, sulle auto. Un gioco a rischio di omicidio, forse desunto da un’imitazione per poveri delle play-station, forse ripetuto per sentito dire, forse appreso in proprio. Essendo i pargoli non punibili, i carabinieri hanno dovuto deferire le due madri per «abbandono di minore», segnalando il caso ai servizi sociali. Non penso proprio che le due mamme abbiano insegnato ai bambini a lanciare sassi sulle automobili in corsa, ma ci troviamo di fronte a una pericolosità sociale che va corretta, e quello mi sembra il modo giusto.

Sono più perplesso, invece, sulla decisione adottata a Milano contro i minorenni che scrivono sui muri: una multa ai genitori.

Qui non si tratta di pericolosità sociale ma di maleducazione: forse attribuibile ai genitori, ma sulla quale dovrebbero essere chiamati a rispondere da subito gli stessi minori, magari costringendoli a lavorare per ripulire le scritte.

Perché l’educazione, cara Matilde, purtroppo è anche punizione.
Con i più affettuosi saluti, suo
Giordano Bruno Guerri

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