Tutta la verità dietro ai robot: cosa sanno fare davvero

Siamo abituati a vederli in video nei quali svolgono compiti: ma non sono ancora capaci di interpretare l'ambiente circostante, fanno bene quel poco che sanno fare. Il discorso vale anche per quelli usati per fini militari

Tutta la verità dietro ai robot: cosa sanno fare davvero

C’è molto di sbagliato nell’idea secondo cui i robot e le Intelligenze artificiali (AI) che li animano siano prossimi a raggiungere l’autonomia nel muoversi con disinvoltura e nello svolgere diversi compiti. Lo stato reale delle cose è diverso e lo mostra bene il video che segue. Più che robot capaci di intendere e interpretare l’ambiente circostante, si tratta di veri e propri “muli da lavoro” che si adoperano per eseguire il compito assegnatoli a prescindere da ciò che accade.

In questo video si vedono diversi robot all’opera che possono trarre in inganno. Mentre il robot dalle sembianze da cane rende facilmente plausibile che sia capace solo di aprire la porta che sta cercando di varcare, è più difficile credere che i soldati robot, così veloci e precisi nelle esecuzioni, non rispondano in modo autonomo all’ambiente circostante.

Per quanto sofisticati siano, reagiscono secondo regole finite, circoscritte. Vale anche per i robot usati a fini militari: possono essere impiegati sul campo, ma a supporto dei soldati e non al loro posto perché non sono dotati dell’intelligenza umana. Per capire meglio occorre uscire dalle forme fisiche dei robot e concentrarci soltanto sulle AI.

A maggio del 1997 Deep Blue, un sistema ideato da IBM, ha battuto l’allora campione del mondo di scacchi Garry Kasparov. Un evento tanto importante quanto distorcente per la diffusione delle AI, capaci senza apparente sforzo di simulare tutte le mosse possibili che offrono la scacchiera e il gioco nello stato in cui si trova, considerando i pezzi degli scacchi a propria disposizione, quelli a disposizione dell’avversario e le regole che il gioco impone. Le mosse possibili su una scacchiera sono tante, circa 10 alla 123esima, vale a dire un numero pari a 10 moltiplicato 123 volte per se stesso.

A marzo del 2016, quindi quasi 20 anni dopo, l’AI AlphaGo di Google ha battuto per la prima volta il campione del mondo di Go, gioco che risponde a regole semplicissime che però ha un numero di mosse ben più grande degli scacchi. Le mosse possibili sul Goban (la “scacchiera” di Go) sono stimate in 10 alla 761esima.

Cercando di ricostruire, in seguito alla partita, quali logiche avesse seguito AlphaGo, ci si è resi conto che ha giocato a tratti scegliendo soluzioni apparentemente tanto illogiche che un giocatore umano non avrebbe mai osato. Questo suggerisce che il periodo di addestramento, durante il quale AlphaGo ha giocato milioni di partite, è stato certamente molto utile alla vittoria riportata sul campo ma, ancora, non ha mostrato segni di intelligenza propriamente detta. Per la prima volta nella storia c’è qualcosa che interagisce con l’uomo ma che non ha alcuna forma di intelligenza umana. Un cambiamento epocale.

Utili, indispensabili, ma non come l’uomo

Siamo abituati a vedere nelle fabbriche e nei magazzini bracci robot che svolgono mansioni usuranti. E questa dimensione è più simile al reale stato della robotica di quanto i video sopra dimostrino. Le macchine fanno bene e persino meglio dell’uomo soltanto ciò che sono in grado di fare. I bracci robotici si muovono seguendo regole precise, si spostano di un numero preciso di centimetri o millimetri in una direzione specifica, poi effettuano un altro movimento preciso al millimetro, poi un altro ancora e così via. Sono meri esecutori, aiutano l’uomo ma non lo sostituiscono, svolgono dei compiti in sua vece ma non tutti i compiti in sua vece.

Se la mente vola ai robot usati dagli artificieri occorre ridimensionare anche questa aspettativa: sono pilotati da remoto e, anche loro, sono dotati di movimenti coordinati al millimetro. Se proprio occorre riconoscergli una dote, questa è la “sensibilità” con cui afferrano gli ordigni.

Allo stesso modo funzionano i robot usati dai pompieri, che si gettano nelle fiamme o in zone sinistrate interagendo sì con il mondo circostante ma non grazie a doti intellettive quanto a un sofisticato sistema di sensori. Robot evoluti ma per nulla vicini a quelli che ci vengono restituiti dall’iconografia cinematografica.

I robot per scopi militari

Usati anche durante il conflitto russo-ucraino, i robot militari sono dei concentrati di tecnologia che non hanno pari nei contesti civili ma, ancora una volta, assolvono compiti impartiti. Lo fanno bene, ma fanno soltanto quello. Il momento in cui delle AI controlleranno dei robot, decidendo in modo autonomo quando sarà il momento di sferrare un attacco escludendo quindi le strategie elaborate dai vertici degli eserciti, è ancora lontano e, nell’impossibilità di azzardare ipotesi sul futuro senza cadere in errore, si può sostenere che – semmai tale momento arriverà – sarà parte dell’eredità tecnologica che lasceremo ai posteri.

Questo riguarda anche i temibili droni kamikaze, che fanno parte delle armi Loitering munition, ossia dei dispositivi dotati di munizioni circuitate. Sono dei missili di dimensioni ridotte che possono essere pilotati da remoto e risultano difficilmente individuabili dalle contraeree nemiche. Non hanno bisogno di fermarsi per mangiare o riposare, non sono più o meno performanti a seconda dell’umore.

Questo, insieme al loro contenutissimo costo economico, li rende particolarmente apprezzati dalle forze armate ma hanno il loro costo e si esprime in altri termini: il fatto che un esercito possa sferrare un attacco senza il rischio di perdere effettivi toglie quel contraccolpo psicologico che restituisce la crudeltà dei conflitti e che impone agli Stati una lunga riflessione prima di scendere in guerra, tempo in parte speso per comprendere quanto le perdite di vite umane di soldati

al fronte compensi i motivi per i quali vale la pena aderire al conflitto. In qualche modo stiamo usando al peggio possibile l’importante mole di lavoro fatta dai ricercatori per portare beneficio all’uomo grazie ai robot.

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