Lhasa - Il Dalai Lama, leader spirituale dei tibetani, ha detto di essere pronto alle dimissioni se la situazione degenerasse e le violenze andassero fuori controllo. "Se le cose andranno fuori controllo la mia sola opzione è dimettermi completamente", ha detto il Dalai Lama, leader spirituale in esilio del Tibet, durante una conferenza stampa nella sua base a Dharamsala, nell’India settentrionale. L’indipendenza del Tibet è "fuori questione" ha puntualizzato il Dalai Lama, replicando alle accuse della Cina. "Dobbiamo costruire buoni rapporti con i cinesi - ha proseguito -. La violenza è sbagliata, non dobbiamo sviluppare sentimenti anti-cinesi. Dobbiamo vivere insieme, fianco a fianco". Nei giorni scorsi il capo spirituale dei buddhisti tibetani aveva denunciato il "genocidio culturale" portato avanti dal regme cinese nella regione himalayana, invasa nel ’49 dalle truppe maoiste e annessa l’anno successivo; ma aveva anche esortato i propri connazionali a dare prova di auto-controllo, evitando ogni eccesso.
Il numero delle vittime Difficile - se non impossibile - fornire un numero esatto delle vittime. Il governo tibetano in esilio a Dharamsala ha, infatti, annunciato che 19 manifestanti tibetani sono stati uccisi oggi in Cina, nella provincia del Gansu (nord ovest). Ma il numero potrebbe anche crescere nel corso della giornata dal momento che fonti certe non ve ne sono. Sempre secondo il governo esiliato, il totale dei morti "accertati" in una settimana di disordini e scontri sarebbe dunque salito ad almeno 99 unità. Il governo cinese, che sostiene siano state nel complesso uccise non più di dieci persone, per bocca del premier Wen Jiabao in giornata aveva ammesso per la prima volta che, dal Tibet, le proteste si sono ormai estese ad altre parti del Paese. Nel Gansu, dove si trovano numerosi templi buddhisti e il terminale occidentale della Grande Muraglia, vive una consistente comunità tibetana.
Immagini choc su AsiaNews Immagini crude di cadaveri vittime delle repressioni dei manifestanti e dei monaci che si sono verificate in Tibet sono state pubblicate dal sito internet del Free Tibet Campaign e, in Italia, da AsiaNews, agenzia di stampa legata al Pontificio istituto missioni estere. Le foto sono state scattate il 16 marzo scorso nella provincia tibetana autonoma di Amdo, che attualmente fa parte della provincia settentrionale cinese del Sichuan. Le immagini sono state inviate dal monastero di Kirti al Free Tibet Campaign.
"Stop alla marcia dall'India al Tibet" Il Dalai Lama ha anche chiesto ai tibetani in esilio impegnati in un una marcia dall’India verso il Tibet di sospendere la loro manifestazione. "Otterrete l’indipendenza? A cosa serve?", ha detto. La marcia è partita da Darmanshala, nel nord dell’India, lunedì 10 marzo in occasione dell’anniversario della rivolta tibetana del 1959. Giunti a Javalamukti, nel distretto di Kangra, un centinaio di manifestanti sono stati arrestati e dovranno scontare due settimane in carcere per aver "minacciato la tranquillità e la pace della regione". Lo scopo dei "marciatori" è quello di raggiungere il Tibet in agosto, quando inizieranno le Olimpiadi di Pechino.
Proseguono le proteste in Tibet Continuano, nonostante la scadenza dell’ultimatum, le proteste in Tibet. Secondo fonti tibetane e di organizzazioni dei diritti umani, questa mattina 500 monaci del monastero Choepel Shing hanno manifestato a Dogo, nella contea di Chone (Zhouni Xian in cinese). Secondo le fonti, i monaci, dopo aver effettuato una preghiera rituale, hanno sfilato per le strade con la bandiera tibetana, chiedendo "indipendenza per il Tibet" e gridando "lunga vita al Dalai Lama". Sempre le stesse fonti, inoltre, riferiscono di nuovi arresti a Lithang, dove la polizia è intervenuta a fermare un’altra manifestazione di monaci.
Le accuse della Cina Oggi, il premier cinese Wen Jiabao ha accusato il Dalai Lama di orchestrare la rivolta in cui dozzine di persone potrebbero essere morte, aggiungendo che i suoi seguaci stanno tentato di "incitare il boicottaggio" dei Giochi olimpici di Pechino del prossimo agosto."Vi sono abbondanti fatti e numerose prove che dimostrano come questo incidente sia stato organizzato, premeditato, ideato e fomentato dalla cricca del Dalai Lama". Con queste parole Wen Jiabao, premier cinese, ha risposto oggi nel corso di una conferenza stampa a Pechino a una domanda sugli scontri in Tibet, pronunciandosi per la prima volta su quanto sta accadendo a Lhasa. "Questo - ha aggiunto - ha rivelato che le ripetute dichiarazioni da parte della combriccola del Dalai Lama sul fatto che non stanno perseguendo l’indipendenza, ma il dialogo pacifico, altro non sono che bugie". Wen ha poi respinto le accuse: "Le affermazioni secondo cui il governo cinese è impegnato in un cosiddetto genocidio culturale sono menzogne" ha affermato, assicurando che la Cina intende continuare a "tutelare la cultura in Tibet".
Prigionieri Decine di prigionieri tibetani, ammanettati e con la testa fasciata, sono stati fatti sfilare su autocarri militari per le strade di Lhasa. Stando a quanto riferito da alcuni testimoni citati dal Times, quattro autocarri con a bordo circa 40 persone, perlopiù giovani uomini e donne tibetani, hanno percorso le principali strade della città, mentre gli altoparlanti rilanciavano l’appello alla resa a quanti hanno partecipato alle proteste di venerdì scorso. Ancora incerto il bilancio delle vittime, con il governo tibetano in esilio che riferisce di centinaia di vittime, mentre per Pechino i morti sono 16.
Ultimatum È scaduto ieri a mezzanotte, le 17 in Italia, l’ultimatum imposto dalle autorità cinesi per la resa dei manifestanti. Gli stessi testimoni hanno riferito di perquisizioni casa per casa, con i militari che hanno controllato i documenti di identità e l’atto di residenza, portando via quanti ne sono risultati sprovvisti. Ieri, il governatore del Tibet, Champa Phuntsok, ha ribadito davanti al parlamento cinese che le autorità agiranno con severità verso i responsabili delle proteste: "Nessun paese consentirebbe a questi delinquenti o criminali di sfuggire alla giustizia e la Cina non fa eccezione".
D'Alema: con dimissioni rischi seri Le dimissioni del Dalai Lama potrebbero essere "una cosa molto seria" e se avvenissero ci sarebbe "il rischio di una perdita totale di controllo della situazione" in Tibet. Lo ha sottolineato il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, in una intervista a Radio Due commentando la minaccia di dimissioni avanzata dal leader religioso del buddismo tibetano.
Vernetti all'ambasciatore cinese: no all'uso della forza Il sottosegretario Vernetti ha ricevuto alla Farnesina l'ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese a Roma, Sun Yuxi, per rappresentargli la profonda preoccupazione con cui l’Italia sta seguendo le notizie dei disordini in Tibet. Vernetti ha chiesto che da parte cinese si possano fornire al più presto soddisfacenti chiarimenti sulla situazione. Inoltre ha chiesto che le autorità cinesi evitino l’uso della forza nei confront i dei manifestanti, auspicando che i dimostranti si astengano a loro volta da atti di violenza.
Il sottosegretario ha sottolineato l’importanza che l’Italia attribuisce al diritto di libertà di espressione e di protesta pacifica invitando le autorità cinesi a rispondere alle dimostrazioni nel pieno rispetto dei diritti umani, ed in particolare della libertà di manifestazione ed espressione del pensiero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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