Tibet, il Papa: "La violenza non serve"

Il Dalai Lama lancia un appello alla ripresa del dialogo con la Cina: "Dobbiamo vivere fianco a fianco". Ma il governo di Pechino chiude: "Siamo nel mezzo di una fiera lotta che comporta fuoco e sangue". Boicottare i giochi? VOTA

Tibet, il Papa: "La violenza non serve"

Pechino - Il comitato organizzatore delle Olimpiadi di Pechino conferma che la fiaccola olimpica verrà portata in Tibet e sarà a Lhasa il 20 giugno. Il Dalai Lama incontra i rappresentanti di cinque organizzazioni tibetane radicali a Dharamsala per, poi, rivolgere un appello alle autorità di Pechino a riaprire la via del dialogo. Ma la tensione non sembra scemare.

L'appello al dialogo Il Dalai Lama invita a riprendere il dialogo con Pechino e riafferma di cercare una soluzione non-violenta in Tibet. Lo afferma il consigliere della guida spirituale dei tibetani da Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio, nel nord dell’India. "Le due parti devono capire che dobbiamo vivere fianco a fianco. Dobbiamo parlarci - ha dichiarato Tenzin Taklha, stretto collaboratore di Tenzin Gyatso - sua Santità è impegnato nel dialogo con i cinesi. Dobbiamo trovarci l’uno di fronte all’altro e parlarci".

Pugno duro del governo cinese All'indomani delle tragiche immagini pubblicate da AsiaNews sulla repressione cinese, il governo di Pechino continuasulla linea della fermezza. Il segretario del Partito Comunista del Tibet, Zhang Qingli, ha infatti fatto sapere che la Cina è impegnata in "una lotta per la vita o la morte" col Dalai Lama. "Siamo nel mezzo di una fiera lotta che comporta fuoco e sangue, una lotta per la vita o per la morte con la cricca del Dalai Lama", ha sostenuto Zhang. Rimane tuttora l’ incertezza sul numero delle vittime delle violenze dei giorni scorsi. Il governo tibetano in esilio afferma che i morti "accertati" sono 99, una cifra che comprende sia le persone uccise a Lhasa sia nelle zone a popolazione tibetana delle altre province. Il governo cinese parla di 16 persone in tutto. Non si hanno notizie del numero delle persone arrestate che, secondo i gruppi filotibetani internazionali, sono "alcune centinaia".

Il Dalai Lama e i gruppi ribelli Il Dalai Lama ha incontrato i leader dei gruppi di manifestanti tibetani in esilio presso la sua residenza nel nord dell’India, mentre molti attivisti criticano il leader spirituale per la posizione troppo morbida che avrebbe assunto verso la Cina. Il Dalai Lama, che ha messo in discussione alcune delle tattiche utilizzate dagli esiliati, come la marcia verso il confine cinese, ha cercato di spiegare ai leader della protesta, molti dei quali giovani, la propria posizione, favorevole a lavorare per l’autonomia del Tibet piuttosto che per la sua indipendenza. Da diversi giorni il premier cinese Wen Jiabao accusa il leader spirituale tibetano di organizzare le proteste da Dharamsala. Accusa che il Dalai Lama ha respinto.

Il dolore di papa Benedetto XVI Invitando a rifuggere la violenza e ad accogliere il dialogo come unica via per risolvere le contese, il papa Benedetto XVI ha espresso "tristezza e dolore di fronte alla sofferenza di tante persone" in Tibet. Il Santo Padre ha, infatti, auspicato che venga scelta la strada del dialogo: "Con la violenza i problemi si aggravano. Dio fonte di luce dia a ciascuno il coraggio di scegliere la via del dialogo e della tolleranza".

Sciopero della fame Tutti i 42 membri del parlamento tibetano in esilio hanno partecipato ad un giorno di sciopero della fame in solidarietà con i manifestanti in Tibet. "La Cina e le sue politiche stanno massacrando il movimento tibetano", ha dichiarato il portavoce del parlamento che ha rinnovato l’appello alla comunità internazionale affinchè affronti la crisi in Tibet. Il governo in esilio ha chiesto all’Onu di inviare al più presto una missione d’inchiesta per verificare e monitorare la situazione in Tibet.

E membri del Parlamento hanno chiesto che si facciano pressioni sulla Cina per ottenere il rilascio dei tibetani arrestati durante le manifestazioni di protesta ed assicurare adeguate cure mediche ai manifestanti rimasti feriti negli scontri.

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