Nicola Simonelli ha scritto con atteggiamento riflessivo e aperto un bell'articolo su Palmiro Togliatti (che era «il Migliore» anche come chierichetto). È un articolo che fa riflettere ben oltre quanto l'autore stesso asserisce, tenendo presente che la forma dubitativa viene opportunamente sottolineata nel corso dell'intervento. Si legge infatti «Però è anche vero che non è del tutto conseguenziale presumere che chi in gioventù abbia frequentato ambienti religiosi (Istituti o famiglia), continui anche dopo a mantenersi credente per il resto della vita». Non cè dubbio. Questo lo si può constatare in generale ad ogni piè sospinto. Stalin ebbe a studiare in un seminario cristiano (greco ortodosso) e anche lui fu il migliore (politicamente) in quel senso che poi fu attribuito allo stesso Togliatti (per costume del Pci allora filosovietico). Per l'ironia su questa modalità di attribuzione a partire dal capo (Stalin) resta straordinaria quella di Aleksandr Solzhenitsyn nel romanzo «Il primo cerchio».
La questione tuttavia non può essere oggetto di celia perché ha un fondo irriducibile di serietà che, in un modo o nell'altro, ci riguarda tutti. L'evoluzione intellettuale di Palmiro Togliatti è a grandi linee chiara (pur se Simonelli fa naturalmente bene a evidenziare quanto è stato trascurato o sottaciuto per i motivi più svariati e non sempre commendevoli). Il leader del Pci ha, da politico autentico, fatto oggetto di attenta considerazione dagli anni 20 in poi (proprio sulla scia di A, Gramsci) il fenomeno religioso (nella sua rilevante portata politica). Sappiamo che Gramsci era convinto della validità delle istanze materiali, ideali e politiche del cristianesimo e pensava che il movimento socialcomunista ne fosse l'erede di fondo. Quello che avrebbe realizzato le aspettative sempre disattese in poco meno di duemila anni. È evidente che a Gramsci della mitologia giudaico-cristiana, dei rituali e del culti, nulla importava, essendo egli del tutto estraneo ad una fede con valenza metafisica. Lo stesso si può dire di Togliatti. Il paradiso che contava era quello sulla terra (e non altrove). L'Italia degli scontri del primo dopoguerra era troppo contrassegnata da pregiudizi ottocenteschi e da cristallizzazioni ideologiche per poter consentire che un partito neonato (quello comunista, originatosi dalla scissione del partito socialista al Congresso di Livorno del 1921) potesse avviare contatti con il Ppi. È facile conoscendo l'Italia di oggi che le tensioni sociali, i veti incrociati, i «narcisismi» di partiti e di movimenti, di allora abbiano aperto la strada all'abile Benito Mussolini (socialista massimalista fino all'inizio del conflitto mondiale e poi dal 1919 fondatore a Milano, in piazza San Sepolcro, dei Fasci di Combattimento). Il 1919 è anche l'anno della fondazione del Ppi da parte di don Sturzo. È vero che diversi cattolici (fra i quali Alcide De Gasperi) fecero opposizione al Fascismo ma è altresì noto che dopo i Patti Lateranensi (11 febbraio del 1929) si aprirono per i cattolici possibilità straordinarie all'interno della società e dello Stato ed essi collusero bellamente e intensamente con il regime. L'importanza dei Patti Lateranensi fu riconosciuta da Togliatti perché egli vide la sistemazione di quell'equilibrio che già i Risorgimentali avevano in parte realizzato dopo il 1870 e in parte, naturalmente, no (vista la persistente ostilità fra Stato e Chiesa). Dal 1929, Fascismo e Chiesa cattolica vennero a costituire un asse di governo dell'Italia del tutto nuovo e originale.
Quando Togliatti fece votare a favore dell'articolo 7 non fece altro che riconoscere questo, configurando, se le condizioni politiche glielo avessero consentito, per l'avvenire un'intesa salda fra movimento comunista e Chiesa cattolica. Questo perché nella sua visione, entrambi i soggetti istituzionali erano avversi alla società individualistica liberale di matrice protestante (anglosassone e statunitense). Le frizioni di Pio XII con De Gasperi avevano in questo contesto un preciso fondamento (senza naturalmente che il Pontefice arretrasse di un millimetro nell'avversione al - e nella condanna del - movimento comunista). È merito di A. Gramsci aver sottolineato la distinzione concettuale fra l'individualismo italiano nella sua diversità rispetto a quello dei popoli del nord Europa. Su questa linea si è mosso anche Piero Gobetti.
A me pare evidente che la robusta personalità politica di Togliatti ha riconosciuto incontrovertibilmente l'importanza del radicamento religioso del cattolicesimo nella penisola italiana e dunque l'inevitabile peso politico della religione stessa che è un fenomeno costante, fisiologico della realtà umana e sociale in genere (e questo riconoscimento nel politico autentico viene prima di ogni incredulità o di ogni fede e metafisica più o meno conseguente) come la tradizione machiavelliana (derivata dagli antichi Greci e dai Romani) ha insegnato a fare. Togliatti sperava che il movimento politico comunista si sarebbe radicato in maniera altrettanto forte e duratura, riconducendo nel proprio ambito lo stesso movimento cattolico (almeno per la maggior parte di esso). La continuità con l'ideale gramsciano è piuttosto evidente.
L'articolo di Simonelli nella sua parte finale possiede una sua forma malinconica e crepuscolare che esula dall'analisi propriamente storica. Egli sembra alludere al fatto che anche Togliatti (così come a suo tempo fu avanzato per Gramsci) possa aver sentito come profonda e irrinunciabile la traccia della sua antica educazione cattolica. È una mozione sentimentale che lascia perplessi perché è una costante tipica della seduttrice fantasia dei cattolici immaginare che tutti (anche gli avversari più intelligenti) nel loro intimo sentano la verità cristiano-cattolica come suprema e incontrovertibile. È un sintomo di illusoria fraternità e debolezza.
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