Difficile separare la leggenda dai fatti quando si parla di Toussaint Louverture (1743? - 1803). Lo Spartaco nero, lo schiavo ribelle che si rivela un imbattibile generale. Lo schiavo di Saint-Domingue che maneggia perfettamente i concetti degli illuministi francesi e, contemporaneamente, la sua antica cultura. Oppure, basta cambiare autore di riferimento per incappare in un altro uomo, Toussaint l'opportunista che cambia continuamente bandiera, Toussaint il traditore che, sotto sotto, è monarchico e schiavista come i coloni bianchi. Oppure Toussaint il generalissimo che sfida Bonaparte e perde.
Questi sono i due ritratti inconciliabili dell'uomo misterioso che a partire dal 1791 ha contribuito a segnare, mischiando sogno e violenza, lungimiranza e follia visionaria, il primo vero tentativo di affrancamento di una nazione di schiavi. Il primo che ha posto armi alla mano, ma soprattutto cristianesimo e illuminismo alla mano, il problema dell'eguaglianza di tutti gli uomini, partendo dal lato sbagliato della questione, il lato di chi ha le catene ai polsi. E ha la forza di levarsele.
Questo enigma storico su cui si arrovellano da anni un gran numero di storici, e che è incredibile finisca al massimo in un capitoletto a margine nella maggior parte della manualistica italiana, è ora al centro di una nuova e completissima biografia, a firma di Sudhir Hazareesingh e pubblicata per i tipi di Rizzoli: Spartaco nero. Toussaint Louverture: vita leggendaria di uno schiavo ribelle (pagg. 594, euro 27).
Hazareesingh - originario delle Mauritius, si occupa di storia culturale francese come research fellow alla British Academy e ha firmato importanti saggi su Napoleone - ha portato avanti un lavoro enorme che analizza, anche, una serie di documenti mai presi in considerazione prima su Toussaint. Il risultato è un affresco a tutto tondo che distrugge sia il santino dell'eroe senza macchia e senza paura, sia il tentativo di ridurre Toussaint ad uno dei tantissimi personaggi che ha interpretato.
Tra i meriti del saggio c'è quello di scavare nella giovinezza di Toussaint Bréda. Questo era il cognome da schiavo del futuro rivoluzionario. Un ragazzo segaligno che nella piantagione aveva ricevuto il soprannome di Fatras-Bâton (Bastone rinsecchito), per quanto era secco e macilento. Ma nell'educazione di questo schiavo si intersecarono tutte quelle linee sotterranee di forza che fecero di Saint-Domingue un laboratorio politico unico, caratterizzato da quella globalizzazione che il resto del mondo avrebbe conosciuto così solo secoli dopo. Toussaint veniva dal gruppo etnico Allada e questo lo mise in contatto con tutta una serie di rituali e tradizioni mediche antiche. Abbastanza per fare di lui una sorta di «guaritore». Venne in contatto con i gesuiti, questo gli consentì di impossessarsi della cultura letteraria europea e di sviluppare profonde radici cristiane. La sua capacità, istintiva, di essere un eccezionale cavallerizzo e domatore di cavalli fece sì che rapidamente si ritagliasse uno spazio di libertà all'interno del duro mondo della piantagione. Abbastanza per ottenere la libertà personale e diventare uno degli assistenti del gestore della piantagione di Bréda. Ma non la libertà per le persone che Toussaint amava e che rimanevano sottoposte al durissimo Code Noir. Questa la condizione in cui il liberto venne investito dalla grande rivolta del 1791 quando i principi della Rivoluzione francese, spesso rimasticati alla bell'e meglio - «Gli schiavi bianchi in Francia si sono liberati uccidendo i padroni aiutati dal Re» - invasero, come un'onda di piena, le piantagioni. Toussaint che non aveva bisogno di rimasticare nulla, che aveva gli strumenti culturali giusti per muoversi tra due mondi, mantenne all'inizio un profilo basso.
Sapeva che sarebbe stato difficilissimo ottenere la libertà per gli schiavi. Capì in fretta che lo scontro a Saint-Domingue sarebbe diventato uno scontro tra potenze e che Spagna ed Inghilterra sarebbero intervenute contro la Francia. Sfruttò questi scontri, e questi continui cambi di fronte, per quello che era il suo scopo di fondo: creare una società di uguaglianza giuridica tra bianchi e neri. Una società in cui capiva sarebbe stato impossibile fare a meno di tutti i coloni bianchi e, men che meno, della popolazione creola. Fu tra i pochissimi a capirlo perché, in tutti gli schieramenti, dominava invece un fortissimo razzismo. Che sfociò in ripetuti massacri. Ecco allora il Toussaint ambiguo, manovriero. Si cambia il cognome nell'evocativo «Louverture», si dice monarchico quando serve, passa alla Repubblica quando serve, si appoggia agli spagnoli quando serve, combatte contro gli inglesi quando serve. Un piano di fondo: non tornare alla schiavitù ma nemmeno sognare una folle e sanguinosa vendetta nera. Sempre con le mani pulite? No, nel 1794 lascia probabilmente massacrare 150 coloni bianchi alleati con gli spagnoli. Prima di farlo va a messa.
Ma la violenza non è il suo stile, lo è la mediazione ed il sincretismo, il tentativo di andare verso un mondo nuovo, figlio dell'illuminismo per l'uguaglianza, ma anche dei valori cristiani e sfruttando per convincere le masse anche le antiche tradizioni africane. Come finì la corsa? Finì nelle prigioni di Napoleone, quando il sogno della libertà si scontrò definitivamente con il sogno imperiale che non aveva più gran bisogno di cittadini, soprattutto se del colore sbagliato. Ma il dado era tratto ed Haiti diventò la prima Repubblica nera della Storia, seppur con una vicenda di crisi e liti travagliatissime. Di quel travaglio quanto è responsabilità di Louverture? Difficile dirlo. Guardato da vicino Louverture è stato un geniale uomo del suo tempo che ha giocato tutte le sue carte per uno scopo che spiegava così: «l'adozione assoluta del principio per cui nessun uomo, rosso, nero o bianco che sia, può essere proprietà del suo simile». Per ottenere quello scopo utilizzò anche i mezzi raccomandati da Machiavelli, che aveva letto con attenzione. Le reti familiari, la sottigliezza politica, a volte il tradimento. Ma quelli che erano attorno a lui utilizzavano gli stessi mezzi per scopi molto meno nobili. Oggi che qualcuno riscrive la storia e la ripulisce, mettendo nelle serie televisive regine nere sul trono d'Inghilterra, c'è chi, probabilmente, si permetterebbe di storcere il naso sui suoi metodi, sulla realtà che dovette affrontare.
Ma Toussaint, che si liberò da solo, probabilmente non gradirebbe essere ripulito o santificato o maledetto per l'ennesima volta. Forse a più di due secoli dalla morte sarà contento di essere raccontato com'era: un uomo complesso, con le colpe degli uomini, che voleva che tutti fossero trattati in un solo modo. Da uomini.
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