«Le tradizioni andrebbero rispettate»

«Il cambio non sarà un dramma. Milano resta però la sede ideale»

L’abbiamo visto ben cinque volte a braccia alzate sul traguardo di Milano, in altrettante edizioni del Giro d’Italia. Una serie di successi da record nell’ultima frazione della rassegna rosa. Lui, Mario Cipollini, di primati legati al Giro ne detiene in abbondanza. Il Re Leone, soprannome affibbiatogli per l’inconfondibile chioma dorata e riccioluta, è l’uomo delle 42 tappe vinte, dal 1989 al 2003, nella corsa organizzata dalla Gazzetta dello Sport. Nessuno è riuscito a fare meglio.
Supermario e Milano, un rapporto speciale?
«Direi di sì. Qui ho vinto spesso, almeno nelle volte in cui riuscivo ad arrivarci dopo le 20 tappe precedenti».
C’è un gusto particolare a vincere qui?
«Sicuramente. Milano era l’obbiettivo, la meta dell’intero Giro. Arrivare alla fine e avere ancora la forza per giocarsi il successo in una volata all’ultimo sangue era ciò cui ambivano tutti gli sprinter come me. Ovvio che fosse qualcosa di unico».
Milano è ancora la sede giusta per la conclusione del Giro?
«Senz’altro. È la città più indicata per celebrare un evento di tale portata mediatica. Forse non l’unica, ma comunque la migliore».
Gli organizzatori, però, pensano di spostare il traguardo finale a Verona...
«Se lo fanno avranno i loro motivi. Per i corridori sarà una novità, ma credo non ci sia nulla di particolarmente traumatico. Anche se forse certe tradizioni non andrebbero toccate».
Sostituendo Milano con Verona la corsa perde un po’ del suo fascino?
«Non credo. Il ciclismo è molto amato in Veneto, come per altro in Lombardia. L’entusiasmo della gente sarebbe perciò lo stesso di Milano. Verona, inoltre, è una città d’arte, con scorci molto belli e caratteristici dove ospitare il Giro. Personalmente sono contento che ci siano altre città, oltre a Milano, pronte ad abbracciare la carovana giunta all’atto finale. Poi le scelte, più che legittime in ogni caso, le fa l’organizzazione».
La passerella finale sarà sostituita da una cronometro...
«Uhm, allora non sono molto d’accordo. Molti di noi velocisti soffrivano sulle Alpi per dare tutto nell’ultimo giorno di gara. Era un po’ la nostra giornata, dopo gli sforzi per non ritirarsi o andare fuori tempo massimo in salita. Così si cambia un’istituzione e molti perderebbero lo stimolo a concludere la corsa.

In questo senso, il rush finale di Milano, con una frazione sempre relativamente tranquilla, era un’isola felice per tutto il gruppo. Dopo più di due settimane a pedalare su e giù per l’Italia la stanchezza si fa sentire!».

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