
C'è una parola che sentirete usare molto spesso sia in ambito economico che politico: è "rifeudalizzazione". Termine che descrive alcune mutazioni che rischiano di mettere in difficoltà la democrazia così come la conosciamo. Cerchiamo di capire perché. Che l'ordine mondiale, e anche la situazione interna di alcuni Stati occidentali, sia sottoposto a un periodo di brutale tensione risulta evidente, e non solo agli analisti politici. Nel giro di pochissimi anni, dopo la pandemia, i focolai di guerra si sono sviluppati a ripetizione. Tanto da far parlare - Papa Francesco in primis - di "guerra mondiale a pezzi". Ma non sono solo gli eventi in sé a spiegare quella temperie di disagio così palpabile all'interno della società occidentale (altre società hanno molti meno margini di libertà per esprimerlo il disagio).
A rafforzare l'impressione di insicurezza è il fatto che molte delle categorie interpretative che utilizziamo sembrano essere rapidamente invecchiate, come se non avessero più presa sulla realtà.
Quando parlavamo di mercato negli anni '90, ad esempio, era dato per assodato che vi agissero una pletora di attori indipendenti, in un clima di concorrenza e con una distribuzione dei profitti che, per quanto disuguali, sgocciolando inevitabilmente verso il basso avrebbero finito, senza fallo, per rendere più ricca l'intera società. In ambito politico si era convinti che il modello occidentale di democrazia avrebbe portato verso un ordine mondiale "legalista" dove eventualmente, all'Onu, il problema sarebbe stato imbrigliare l'eccessivo margine decisionale degli Usa ed magari della Cina.
Ora invece in ambito finanziario un numero ristretto di compagnie controlla buona parte delle aziende quotate sui principali listini. La totalità degli scambi che avvengono sulla Rete è veicolata da un numero altrettanto esiguo di piattaforme digitali. In ambito politico lo "scivolamento" non è meno eclatante. Gli Stati nazione non solo sono diventati aggressivi, ma non sono più i soli depositari della forza. Basti pensare alla Russia dove una forza privata come la compagnia mercenaria Wagner prima è stata fondamentale per salvare la situazione in Ucraina, poi è diventata de facto quasi il vertice dell'esercito di Mosca e infine ha rischiato di trasformarsi in una forza in grado di sovvertire il potere di Putin. O sull'altro lato del fronte, come l'appoggio tecnologico di Starlink di Elon Musk sia stato determinante per l'Ucraina quanto e più degli aiuti di alcune nazioni europee. O quanto una società privata come Palantir, medievaleggiante sin nel nome, sia fondamentale per le intelligence occidentali. Sono solo alcuni degli esempi del fenomeno noto tra i politologi come "rifeudalizzazione", un meccanismo che porta all'erosione delle istituzioni moderne dall'interno, alterando in modo progressivo la logica che governa l'accumulazione sia della ricchezza che del potere. L'allarme verso questo fenomeno non è nuovo. Era stato lanciato sin dagli anni Venti dagli intellettuali dell'ordoliberalismo tedesco ripresi da Jürgen Habermas che temevano la perdita di presa sulla realtà di quella che chiamiamo società civile (che ha sempre avuto la sua forza nella media borghesia). Ma se quelle paure, nate difronte a dittature che privilegiavano la sudditanza vassallatica personale a leader autoritari, sembravano archiviate col grande boom economico del dopoguerra, ora si stanno ripresentando in forme nuove e più striscianti.
Per rendersene conto è un buon punto di partenza il saggio di Massimo De Carolis Rifeudalizzazione. La mutazione che sta disintegrando le democrazie occidentali (Feltrinelli, pagg. 202, euro 17). Il panorama tratteggiato da De Carolis, che ha insegnato Filosofia politica, non è quello di un'apocalisse a tinte fosche o di una sorta di ritorno all'incastellamento che potrebbe piacere a qualche cultore dei medioevi prossimi venturi alla Mad Max. Il suo è un serio lavoro, ricco di esempi, sull'ontologia del presente.
Il nuovo feudalesimo spunta attraverso meccanismi, secondo De Carolis, che la nascita del modello della democrazia Occidentale, durante l'Illuminismo, ha messo sotto traccia ma mai eliminato. Partiamo da un contesto economico.
Il mercato secondo lo schema liberale offre il prototipo delle relazioni paritarie, contrapposto al modello feudale dove ciò che conta per prosperare è la fedeltà. Tutti hanno predicato il primo modello negli ultimi decenni. Ma nessuno ha impedito alle grandi corporation finanziare e digitali di impadronirsi dell'ambiente in cui si svolgono gli scambi (le borse e la Rete). Non c'è azienda che per la Rete non debba passare per le Big Five dell'Hi-tech (Meta, Apple, Microsoft, Alphabet/Google e Amazon) e sono pochissime quelle che finanziariamente possano non essere influenzate, a cascata, dalle scelte delle Big three (Black Rock, Vanguard e State Street).
Questi nuovi protagonisti del mercato hanno un ruolo di gatekeeper: sono i "custodi della soglia" al di fuori della quale è sempre meno concepibile che possano aver luogo sia la produzione che lo scambio. Se fossimo nel Medioevo potremmo dire che vivono dei diritti di "banno e di forabanno" sul loro territorio immateriale. Comunque vada il loro vassallo inconsapevole, o consapevole, pagherà. Va da sé che questo potere extraterritoriale, anche senza demonizzarlo, sgretola anche la capacità di azioni di singoli Stati. In Nepal un Parlamento corrottissimo è andato a fuoco solo quando il governo si è azzardato a pretendere di mettere le mani sui territori digitali. Giusto per fare un esempio.
Ci sono Stati le cui monete non possono più competere con le immateriali criptovalute. Come quando nel Medioevo si combatteva per i diritti a battere moneta... Ci sono Stati come l'Honduras o la Transnistria che hanno perso il controllo di un bel pezzo del loro territorio in favore di multinazionali quasi che questi territori siano feudi autonomi...
E poi ci sono effetti più striscianti in una politica che passa dai social l'identità si sgretola e quel che conta è essere follower di qualcuno (che suona meglio di vassallo ma non è così diverso).
Una volta c'erano identità politiche ora leader che incarnano un significante vuoto. Per molti, secondo De Carolis, "l'identità collettiva coincide con l'essere Peronisti, trumpiani o amici di Beppe Grillo. È insomma solo l'affiliazione ad accomunarli e distinguerli dal resto della popolazione".