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Tombe, ossa, indagini: ecco perché il Vaticano non ha segreti sul caso Orlandi

Nonostante le accuse di omertà, la disponibilità vaticana a fare luce sulla scomparsa di Emanuela non è una novità. I fatti che lo dimostrano

Tombe, ossa, indagini: ecco perché il Vaticano non ha segreti sul caso Orlandi

Per quasi ventisette anni, a partire dallo storico "se sbaglio mi corrigerete" pronunciato in piazza san Pietro dopo l'elezione, la figura di Giovanni Paolo II è divenuta familiare per milioni di persone e di lui si è parlato quasi quotidianamente sui giornali ed in televisione per le omelie, le enciliche o per uno dei suoi tanti viaggi apostolici. Diciotto anni dopo la sua morte, il nome del Papa polacco è tornato a comparire nelle rassegne stampa e nei servizi al telegiornale. Purtroppo, però, non per onorarne la memoria.

L'audio choc

Di Karol Wojtyła si è parlato moltissimo questa settimana dopo che al programma DiMartedì condotto da Giovanni Floris è stato mandato in onda un audio choc del 2009 - già sentito in altre trasmissioni del canale - in cui un ex membro della banda della Magliana accusava de facto il Papa santo di essere stato un predatore sessuale, tirando in ballo l'ex cardinale segretario di Stato, Agostino Casaroli che avrebbe addirittura commissionato - tramite dei cappellani di un carcere - omicidi ad Enrico De Pedis per coprire la "schifezza" attribuita a Wojtyła. Accuse assurde e deliranti che sono state ricondotte al caso di Emanuela Orlandi, l'adolescente figlia di un un commesso della prefettura della Casa Pontificia e scomparsa misteriosamente a Roma nell'estate del 1983.

L'indagine vaticana

L'audio andato in onda su La7 dovrebbe far parte della memoria portata da Pietro Orlandi, fratello della ragazza, al promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi che a gennaio ha aperto un fascicolo sulla scomparsa e che ha accettato di ascoltare Orlandi martedì scorso. Sempre martedì, il familiare di Emanuela è andato ospite nella trasmissione di Floris ed ha pronunciato parole che hanno creato molte polemiche: "Mi dicono che Wojtyla ogni tanto la sera usciva con due monsignori polacchi e non andava certo a benedire le case", ha affermato Pietro.

Parole che hanno indignato molti fedeli e che hanno provocato la reazione del segretario storico di Giovanni Paolo II, il cardinale Stanisław Dziwisz che ha definito "accuse farneticanti e criminali" quelle ascoltate nello studio televisivo e si è augurato che "l’Italia saprà con il suo sistema giuridico vigilare sul diritto alla buona fama di chi non c’è più”.

La reazione

Il comunicato del cardinal Dziwisz , a cui è seguito un editoriale dello stesso tenore scritto dal direttore dei media vaticani Andrea Tornielli, ha suscitato la reazione dell'avvocato di Orlandi che in una nota ha parlato di frase estrapolata ed ha contrattaccato sostenendo che l'ex segretario di Giovanni Paolo II - di cui però non si fa il nome esplicitamente - sarebbe stato "contattato negli anni numerose volte dal signor Orlandi" e che si sarebbe "sempre sottratto a un confronto autentico e sincero". Un giudizio che si contrappone a quello che invece Pietro e chi lo assiste hanno riservato all'iniziativa del promotore Diddi: la convocazione in Vaticano del fratello in un colloquio di otto ore è stata definita una svolta storica, rilevando come in passato l'uomo non sarebbe stato ascoltato così approfonditamente.

La collaborazione

Una linea comunicativa che rafforza la tesi più volte sostenuta di una mancata collaborazione da parte del Vaticano nella ricerca della verità sulla sorte della ragazza scomparsa, in Italia, quaranta anni fa. In questi anni, tuttavia, bisogna riconoscere che da Oltretevere ci si è dimostrati piuttosto disponibili di fronte alle richieste che tiravano in ballo nuove piste seppur vertenti solo su anonime segnalazioni o su suggestioni. Nel 2018, ad esempio, in occasione del ritrovamento di ossa umane nella sede della nunziatura apostolica in Italia, la segnalazione era partita proprio dall'interno ed era stata la parte vaticana a chiamare la polizia scientifica e la squadra mobile della questura di Roma. Segreteria di Stato e Gendarmeria vaticana avevano gestito la vicenda al massimo della trasparenza, sebbene la tesi di un collegamento con il caso Orlandi - inspiegabilmente circolata sulle agenzie subito dopo il ritrovamento - non avesse alcun fondamento. E infatti, dopo gli esami degli esperti, si era potuto accertare che le ossa erano risalenti tra il 90 e il 230 dopo Cristo.

Le tombe

Poi era stata la volta dell'anonima segnalazione che indicava nel cimitero del collegio teutonico in Vaticano il luogo di sepoltura di Emanuela. Anche qui, nonostante l'assenza di prove, l'ufficio del promotore di giustizia vaticano aveva acconsentito all'apertura delle tombe del collegio su richiesta dell'avvocato di Orlandi. L'operazione, condotta alla presenza di un perito di parte, aveva svelato l'assenza di qualsiasi resto umano nelle tombe segnalate, quindi anche l'assenza di resti della ragazza.

Nel 2012, quando sui media si parlava molto della sepoltura di Enrico De Pedis, assassinato nel 1990 in via del Pellegrino, nei locali della basilica di Sant'Apollinare e che una telefonata anonima ricevuta nel 2005 dalla redazione del programma Chi l'ha visto collegava alla scomparsa di Emanuela Orlandi, la Santa Sede tramite l'allora direttore della Sala Stampa padre Federico Lombardi fece sapere di non avere alcun problema per l'apertura e lo spostamento della salma. Cosa che in effetti avvenne dopo nulla osta del vicariato di Roma e dell'autorità giudiziaria rivelando che nella cripta c'era solamente il corpo dell'uomo indicato come esponente di spicco della banda della Magliana e non quello della ragazza scomparsa.

Il caso

Sul caso Orlandi resta aperta in Vaticano l'indagine voluta da Francesco a dieci anni dalla sua elezione e aperta a gennaio dal promotore Alessandro Diddi. Quest'ultimo ha accettato di incontrare Pietro Orlandi che ha salutato come "giornata storica" quella del suo colloquio. Tuttavia è difficile far passare il messaggio di un Vaticano che per la prima volta accetta di collaborare per fare luce sulla vicenda: dal 1983, infatti, la linea ufficiale è sempre stata quella di rivendicare la collaborazione e la trasparenza nei confronti degli inquirenti italiani e della famiglia con cui durante tutti e tre gli ultimi pontificati si è cercato di aiutare le indagini.

Accreditare questa tesi da parte vaticana significherebbe smentire quanto è stato fatto e detto in questi quaranta anni per respingere l'accusa di custodire segreti sulla vicenda e getterebbe discredito non solo sugli anni di Giovanni Paolo II, ma su tutti e tre gli ultimi pontificati.

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