Essere nato il 22 aprile significa stare in buona compagnia. Da Indro Montanelli, il fondatore del Giornale, che ho ammirato come la penna più lucida e graffiante dell'Italia nel dopoguerra; da Rita Levi Montalcini, che ieri ha festeggiato 103 anni e ha dato prestigio all'Italia nel mondo aggiudicandosi il Premio Nobel per la Medicina; da Immanuel Kant, il filosofo illuminista che prediligevo da giovane per la sua riflessione sul nodo inestricabile tra fede e ragione; dalla regina Isabella di Castiglia che nel 1492 completando la Reconquista riscattò la Spagna dall'occupazione islamica e salvaguardò la civiltà cristiana che ha garantito all'Europa e altrove nel mondo una società laica e liberale.
Essere nato il 22 aprile del 1952 significa avere 60 anni. Nella nostra storia contemporanea è l'età che rappresenta simbolicamente uno spartiacque segnando l'inizio della «terza età», o più prosaicamente la vecchiaia, anche se l'orientamento dell'odierna classe politica europea, per ragioni essenzialmente economiche, è di allungare l'età lavorativa ben oltre i 60 anni. Se penso che entrambi i miei genitori sono morti prima di compiere 60 anni e se rievoco l'immagine decadente che coltivavo del sessantenne da bambino, dovrei considerarmi un vecchio fortunato. Per 60 anni ho goduto di buona salute, il mio peso è rimasto invariato dall'età di 18 anni al punto che gli amici dell'epoca mi riconoscono immediatamente perché il mio aspetto fisico è pressoché immutato; solo lo scorso dicembre ho subito un intervento chirurgico per diverticolosi, ed era la seconda volta in tutta la mia vita che entravo in sala operatoria dopo l'asportazione delle tonsille e delle adenoidi quando avevo 11 anni.
Ebbene voglio subito precisare che non soltanto non mi sento «vecchio» ma, all'opposto, non mi sono mai sentito così vitale dentro, innanzitutto grazie alla solidità della mia fede nei valori non negoziabili che sostanziano l'essenza della nostra umanità e che sono il fondamento della nostra civiltà, nonché delle regole che sono alla base della civile convivenza che comportano sia i diritti che non discriminano nessuno sia i doveri che vincolano tutti. Ma soprattutto oggi, a 60 anni, mi sento più che mai determinato ad operare concretamente, traducendo in fatti ciò che affermo da tanto tempo e ciò in cui credo profondamente, per realizzare ciò che mi sento nell'intimo e sentirmi pienamente me stesso. Ciò che intendo dirvi è che non soltanto non mi considero giunto al termine del percorso esistenziale in cui ci si deve rassegnare prendendo atto che è scaduto il tempo a disposizione per dimostrare ciò che saremmo stati capaci di fare. All'opposto per me inizia una nuova vita, forse la vera vita, quella in cui noi possiamo dare il meglio di noi stessi, perché del tutto consapevoli di chi siamo, di ciò in cui crediamo, di cosa vogliamo veramente fare affinché l'insieme della nostra vita acquisisca un senso autentico, tale da regalarci quella gioia interiore che prescinde dai beni materiali accumulati, dalle cariche professionali ricoperte e dalle relazioni sociali intrattenute.
A 60 anni sto scoprendo non solo l'infondatezza ma la gravità del luogo comune che accomuna la vecchiaia con l'emarginazione sociale in quanto persona che non avrebbe più nulla di significativo da dare in termini di produzione dei beni materiali e che pertanto, da un giorno all'altro, da protagonista attivo si riduce a gregario passivo, da persona che ha una sua specificità ben definita nella storia che lo rappresenta si trasforma anche antropologicamente in pensionato simile a tutti coloro che sono assoggettati a questa categoria sociale.
È vero che in Italia casomai difettiamo di gerontocrazia, dove il potere dalla politica alle professioni è mediamente detenuto da persone anziane, e dove pertanto il problema vero è di ringiovanire la classe dirigente affermando e diffondendo la meritocrazia. Così come è vero che siamo il Paese che ha il più basso tasso di natalità al mondo, con la fascia degli anziani tende a crescere a scapito di quella giovanile e dove diventa prioritario investire nella crescita della natalità per porre un argine al suicidio-omicidio demografico.
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