«Vi racconto Tex, mio padre»

«Scrivere le storie di Tex per me non era facile: Tex era mio padre, come lui spavaldo e sicuro di sè, mentre io non lo sono mai stato». Sergio Bonelli, il grande editore di fumetti e figlio di Gian Luigi autore del celebre eroe del West, si racconta domani sera in un film-documentario che verrà proiettato alle 21 allo spazio Oberdan. Alla serata, promossa dalla Provincia di Milano nell’ambito della collana «Gente di Milano», saranno presenti lo stesso Bonelli, il giornalista Andrea Bosco e il filosofo Giulio Giorello. Il film rappresenta l’evento clou di un omaggio corredato da una mostra che espone una serie di tavole del ranger Willer ed altri personaggi di carta targati Bonelli, vale a dire il tarzanesco Zagor e Mister No, scanzonato ex soldato Usa che viveva in Amazzonia nella Manaus anni ’50. «In fondo - confessa nel film Bonelli - è il personaggio a cui sono stato più affezionato proprio per il suo essere un anti-eroe con tutte le passioni e i vizi umani, non ultimo il debole per le donne». Mister no nasce proprio dalla penna di Bonelli jr che per non creare confusione lo firmò con il suo pseudonimo di Guido Nolitta. E Tex? A Sergio Bonelli va tutto il merito di aver sviluppato la casa editrice di via Buonarroti a immagine e somiglianza del cowboy nato nel ’48 in formato striscia dalla penna del padre e dai pennarelli del grande Aurelio Galeppini in arte «Galep». Allora costava 15 lire e doveva competere con i personaggi leader del mercato come capitan Miki e il grande Blek. «Ma papà - racconta Bonelli nel documentario - ebbe l’intelligenza di inventare un personaggio non per bambini quanto per un pubblico di ragazzi ultraquindicenni. Rispetto ai competitors, le storie di Willer erano più maschie e anche il linguaggio più duro, sul modello della letteratura gialla americana di quegli anni». Fu un successo che portò il fumetto a diventare padrone del mercato fino a superare, col tempo, le 500mila copie vendute. «Mio padre mi portava spesso ad un cinema nella zona di San Siro - racconta - e ovviamente il fumetto si ispirava alla filmografia western alla John Ford, stile Ombre rosse». Gli atteggiamenti umani dei personaggi, invece, erano tipicamente in stile spaghetti. «Beh, mio padre doveva raccontare un’America di cui in quegli anni nessuno sapeva nulla eccezion fatta che attraverso i film». Tex, insomma, era un vero cowboy in un Far West dove si sparava sul serio e si ammazzava anche parecchio. «Dove però - precisa - non scorreva mai una goccia di sangue perchè si è sempre voluto evitare il gusto per il macabro». Fin troppo, verrebbe da dire, visto che il protagonista «era perennemente impeccabile nella sua mise da ranger, mai neanche un segno nemmeno dopo un combattimento o una rissa».
Furono in molti, tra il pubblico dei critici, a paragonare la faccia di Tex a quella della star di Hollywood Gary Cooper. «Anche se mio padre preferiva assomigliasse a John Wayne, una figura che doveva terrorizzare ogni qualvolta faceva ingresso in un saloon». Nel film, Bonelli jr si schermisce definendosi un dilettante rispetto al padre che a un certo punto dovette sostituire nelle sceneggiature. «E lui, per non ferirmi, diceva che ero bravo ma forse sarei stato più brillante se avessi scritto storie per Paperino, anzichè avventure...». In realtà Sergio, oltre a fare crescere con la madre la casa editrice, cercò in più di un’occasione di lasciare il suo segno nello storico fumetto che, nel frattempo, si avvalse di nuovi disegnatori, più contemporanei rispetto all’indimenticabile Galep.

«A un certo punto - racconta nel film - feci crescere a Tex un po’ di barba che mi sembrava più idonea per chi passa magari settimane intere nel deserto. Non l’avessi mai fatto, arrivarono in casa editrice centinaia di lettere di protesta. E allora, come non detto, via la barba...».

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