Enrico Lagattolla
Laveva avvicinata in strada con un pretesto. Dopo qualche parola, le aveva puntato il coltello alla gola, obbligandola a rientrare in casa. E lì, lo stupro. Ma anche la reazione della vittima, che era riuscita a chiamare il 113. Per questo Jendoubi F., tunisino di 37 anni, regolare e sposato con una donna italiana, era stato arrestato e condannato in primo grado a sette anni e quattro mesi di reclusione per i reati di violenza sessuale, sequestro di persona, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, oltre a un risarcimento in sede civile di 40mila euro. E, ieri, la sentenza è stata confermata dalla prima corte dappello del tribunale di Milano, che ha stabilito come misura cautelare lespulsione delluomo.
Non solo, perché a carico di Jendoubi F. è stato anche depositato in Procura un esposto per minacce a mezzo di corrispondenza. Dopo linizio del processo di primo grado, infatti, ha cominciato a inviare alla vittima e al suo legale, lavvocato Raffaella Marmo, diverse lettere che contenevano intimidazioni e insulti. La prima è datata 29 gennaio (quattro giorni dopo la prima udienza): «Stai attenta - si legge - tra due mesi mio fratello esce dal carcere...».
La vicenda risale al 18 agosto dello scorso anno. Via Ripamonti, un tardo pomeriggio estivo. Nessuno in strada. R.F., 38 anni, esce di casa col cane. Viene avvicinata dalluomo, che abita a un centinaio di metri da lei. Un breve scambio di battute, quindi Jendoubi estrae un coltello. Obbliga la donna ad aprigli la porta di casa, entra con lei e tenta di violentarla. La vittima cerca di chiamare il 113, lui le chiude il telefono. Troppo tardi. Gli operatori della sala radio della Questura, infatti, fanno in tempo a sentire una parola, decisiva: «Coltello». Nel giro di due ore, rintracciano il telefono, la zona da cui è partita la chiamata e infine labitazione di via Ripamonti.
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