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"Un visionario dello spettacolo. Inventò la tv commerciale"

Parla il grande direttore di rete: "Ricordo intere nottate di lavoro, il frigo pieno di gelati, l'empatia e la gentilezza"

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«Mi ricordo una volta che eravamo a Portofino. Mi disse: mentre tu studiavi i filosofi e perdevi tempo a fare il '68, io sono diventato Paperon de' Paperoni...». Scherzava Silvio Berlusconi, ma in quelle parole c'era una delle sue trappole magiche: avvalersi degli intellettuali e delle persone colte per realizzare grandi progetti. Carlo Freccero è stato con lui il pioniere della tv commerciale, tra gli anni '70 e gli '80, da quella Telemilano poi diventata Canale 5 a Italia 1 a Rete 4 che sono ancora l'ossatura del gruppo del Biscione. Insomma, Freccero è stato testimone di quegli anni di Mike, Corrado, Vianello, del Mundialito, di Beautiful, Drive In, di quei momenti esaltanti in cui Berlusconi era in prima fila a decidere tutto, programmi, inquadrature, trucco, casting, acquisti. Poi le strade si sono divise, lui il più anarchico dei dirigenti televisivi Rai, l'altro diventato oltre che Paperon de' Paperoni anche l'uomo più potente del Paese.

Dunque, Freccero, cosa ha significato la nascita della tv privata?

«Un cambiamento epocale per l'Italia e anche per l'Europa, perché è stato lui il primo a realizzare la tv commerciale nel continente. Ha portato un nuovo medium, il modello commerciale con tutto il suo corollario: il consumismo con la Standa, la pubblicità con Publitalia, il calcio come contenuto spettacolare. Un sistema complesso che corrispondeva alla sua personale utopia».

Lei cosa ricorda di quegli anni?

«Le nottate passate con lui, le riunioni fiume, i frigoriferi pieni di gelati. In quegli inizi c'era qualcosa di barbarico, che è anche una grande forza. Mi chiamò per catalogare l'archivio della Titanus, il più grande investimento sul cinema di una rete locale, Telemilano. Si arrabbiava perché mandavo in onda al pomeriggio la serie Hazzard dicendo che era uno spreco, ma gli spiegavo che non faceva abbastanza ascolti per programmarlo alla sera».

Anni di Dallas e Mike.

«I pilastri fondativi di Canale 5 che hanno dato origine ai due generi fondamentali di Mediaset: la serialità e l'intrattenimento. Con Dallas arrivava nelle case il sogno americano; con Bongiorno, che univa l'esperienza Usa alla nostra tv artigianale, è cominciata l'auto-produzione».

Come riusciva a convincere personaggi come Mike a lasciare la Rai?

«Con l'empatia e la gentilezza. Creava una sorta di esperienza comune, una audience immediata per se stesso, era il marketing fatto persona».

La grande accusa che gli è stata rivolta è di aver «rincitrullito» generazioni di italiani.

«La tv commerciale non ha il compito di educare ma di fare audience e per fare ascolto bisogna diventare comprensibili a tutti. Se non lo avesse fatto Berlusconi l'avrebbe fatto qualcun altro».

Dal punto di vista strettamente televisivo, qual è stato il suo più grande errore?

«Scendere in politica, perché in quel momento sono iniziati i suoi guai. Chissà come sarebbe stata ora l'azienda senza quella decisione. Ancora oggi la sinistra ha la fobia del conflitto di interessi».

Ma, alla fine, Berlusconi è stato un imbonitore di masse o un grande innovatore?

«Era un visionario. Uno che ha incarnato lo spirito del tempo, la Febbre del sabato sera, il liberismo. Ha capito prima degli altri quello che stava accadendo nella società, ha costruito un immaginario in cui tutti potevano sentirsi ricchi, un'utopia dei consumi. Per questo le persone si riversano al San Raffaele a rendergli omaggio».

Perché hanno nostalgia di quegli anni?

«Certo. Lui è l'arcitaliano, straboccante, eccessivo, vincente, l'incarnazione di una certa grandeur italiana, ci ha fatto vivere l'ultimo momento felice del capitalismo, mentre oggi siamo passati da essere consumatori a consumati».

Consumati?

«Sì, viviamo in un'epoca di austerity, siamo tutti tristi, depressi, controllati da una dittatura digitale che non ci permette di esprimere il dissenso come sulla guerra e sui vaccini. Prima Berlusconi sembrava il nostro incubo, poi ci siamo ricreduti con quello che è venuto dopo di lui, dal governo Monti in poi».

Alla fine pure lei che lo ha criticato per anni finisce per dire «Meglio Berlusconi»?

«Si è tanto discusso della censura in Rai ai tempi dei governi di Forza Italia, ma la censura all'epoca dell'analogico almeno indicava vitalità, dissenso, qualcosa di artigianale, mentre oggi si vive nella propaganda digitale del mainstream, anzi la propaganda crea il mainstream».

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