LA VITA È UN GIOCO

Dai passatempi dimenticati, all’intrattenimento del futuro. Così in tutto il mondo si festeggia la giornata internazionale del divertimento

I giochi, a volte, scompaiono. Al plurale, perché “il” gioco non può morire, anche se si declina, sempre, in una realtà particolare, nel singolo momento. Ogni gioco ha infatti il suo giocatore, un ambiente che non è soltanto lo sfondo ma parte integrante dell’azione, i suoi tempi, le sue sfide, le sue regole, il suo piacere, la sua tradizione. E, qualche volta, può accadere che un certo gioco si perda, nessuno si ricordi di lui, non i ragazzini in cortile, non gli studenti durante l’intervallo, non i nonni o le mamme o i papà. L’istinto però non scompare e, quindi, lo stesso gioco può ritornare, magari in versione più «moderna», come a ricordare che quel vecchio desiderio è ancora vivo e che qualcuno può approfittarne.
L’itinerario verso l’oblio e ritorno è stato vissuto dalla «lippa», sparita durante gli anni ’70 e oggi di nuovo popolare nei parchi del Veneto, dove questo bastoncino appuntito è detto «s-cianco». Col passare degli anni aveva lasciato la sua traccia solo nel linguaggio lombardo, in cui «andare come una lippa» è sinonimo di velocità (il bastoncino viene lanciato in aria e poi colpito, nel tentativo di scaraventarlo il più lontano possibile dalla propria «base»), ma la memoria dell’espressione si era quasi persa di fronte al destino di un gioco quasi sconosciuto alle ultime generazioni. I veneti l’hanno recuperata sotto forma di sport per adulti, come è successo alla fine di maggio, in occasione della «Giornata mondiale del gioco». Giunta alla terza edizione nel nostro paese, questa festa per grandi e piccini è stata vissuta a Verona come una grande gara di «s-cianco», con la partecipazione di sedici squadre maschili e femminili. La «Giornata mondiale del gioco», coordinata in Italia dal Centro internazionale ludoteche, ha coinvolto decine di realtà, piccoli comuni e grandi città, anche grazie all’impegno di GioNa, l’associazione nazionale Città in gioco. Torino, Udine, Genova, Firenze, Bari, Ravenna, Chiavari, Jesi si sono trasformate nel teatro di una festa pubblica, nella convinzione che in Italia si giochi dappertutto, ma non ci siano abbastanza consapevolezza e visibilità per i luoghi e i tempi del gioco e, quindi, qualche volta valga la pena di dare al divertimento uno spazio «ufficiale». Anche perché non è difficile ripetere l’esperienza nel cortile o nel salotto di casa: fra i giochi più amati dai piccoli c’è il girotondo, così semplice che richiede soltanto un po’ di compagnia.
Birilli, biglie, nascondino, altalena, braccio di ferro non richiedono particolare abilità, ma ci sono anche giochi che vanno costruiti, in cui ogni dettaglio diventa speciale grazie all’attenzione, alla cura dedicata al singolo aspetto, un filo, un bottone, un cartoncino, una molla fissata al punto giusto. Giorgio Reali, esperto dei «giochi dimenticati» cui ha consacrato la sua Accademia milanese, ricorda che, da bambino, aveva tentato invano di costruire un «rocchetto-toboga» per i giorni di malattia: ma creare un gioco, pezzo su pezzo, non è un’attività solo per quando si è immobilizzati a letto, è un’esperienza per tutti, papà e figli. Così, anche il gioco dei tappi può essere l’occasione per inventare un nuovo percorso o una giornata di vento può essere lo spunto per dedicarsi ad aquiloni, aeroplanini e girandole. «L’Italia è una delle nazioni che spende meno per comprare giochi - osserva Beniamino Sidoti, rappresentante di GioNa e “ludologo” - ma è anche quella che ne regala di più: riempiamo i bambini di giocattoli che costano poco, come se fossero uno strumento per soddisfare un capriccio o per tenere i figli occupati. E possedere tanti giochi significa, alla fine, non goderseli».
Ci sono giochi tradizionali che vivono un nuovo successo, come il tiro alla fune: il campionato mondiale del 2005 è stato ospitato a Cento e la «disciplina» è così popolare che la squadra femminile di Ponticino (Arezzo) è riuscita a rappresentare l’Italia sulla scena internazionale con risultati eccellenti. Nelle Marche è tornata invece la passione per la «ruzzola»: in origine una grossa forma di formaggio lanciata e poi fatta rotolare fino alla fine della pista, oggi è in legno ed è protagonista di gare e tornei. E nuova vita tocca alle trottole grazie alle beyblade da collezione, versione tecnologica e avveniristica di un gioco antico e un po’ romantico.
Non c’è solo la nostalgia per i tempi passati, come dimostra il successo dei giochi di ruolo: «I grandi raduni in costume, di ambientazione fantasy, medievale o futuristica attraggono sempre più donne - racconta Sidoti - soprattutto se ispirati al Signore degli Anelli o a Vampiri di Anne Rice, in cui la sfida si sposta sul piano psicologico e diplomatico». È il clima che si respirava a Genova dove, in occasione della Giornata mondiale del gioco, il caffè Berio ha organizzato tornei di giochi di ruolo. Nel capoluogo ligure c’è stato spazio anche per la tradizione colta, con i musei che hanno aperto le porte per la riproduzione dei giochi degli antichi romani (come i «Latrunculi») e degli egizi (con il «Senet», l’antenato del backgammon di cui si ha traccia già in un’immagine del terzo millennio avanti Cristo), dei nobili inglesi del Settecento (con il «Wallis’s Tour of Europe», preparatorio al Grand Tour della maggiore età) e dell’epoca di Casanova, come il «Biribissi» o «Europe divided into its Kingdoms», l’Europa divisa nei suoi regni, considerato il primo puzzle della storia, creato da John Spilsbury nella metà del ’700. E ancora, i giochi del Risorgimento all’Istituto mazziniano, con il «Jeu de la rivolution francaise» post-presa della Bastiglia e «L’Italia del secolo decimonono ossia il nuovissimo giuoco dell’oca» del 1861, affresco di un’epoca e dei suoi personaggi, per approdare al mare e alle avventure dei suoi navigatori, con un percorso attraverso i secoli, dal «Nouveau jeu de la Marine» del 1768 a «The sailor boy» (il giovane marinaio che sale i gradini della carriera fino a diventare ammiraglio a fine Ottocento), da «The National yacht race» per rivivere una gara di vela del 1912 fino a «An exciting motor boat race», che celebra i motoscafi degli anni Venti.
In un mondo di giochi non può mancare il paese di Gianni Rodari, Omegna: qui, sul lago d’Orta, lo scrittore è ricordato con un’omaggio ai giochi di parole, di memoria e, soprattutto, a quel gioco che è il raccontare, con i suoi innumerevoli fili e possibilità, anche quando si tratta dei più piccoli. È ciò di cui è convinto Andrea Angiolino, “ludologo” e creatore di libri-gioco: «La storia cambia a seconda dei gusti e delle scelte del bambino e, di bivio in bivio, si arriva a finali diversi».

Si può provare anche con i più piccoli, che ancora non sanno leggere, perché il gioco è racconto, di sé e del mondo e, come tale, è una scoperta continua: perciò il suo Mischiastorie, presentato a Corato (in provincia di Bari) si compone di tante tessere del domino, da abbinare o disegnare per creare storie e avventure, nella convinzione che il gioco sia innanzitutto discorso, attività comunicativa per eccellenza, non a caso capace di ammaliare a qualunque età e latitudine.

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