Il volano dei «Pir» per ridare spinta alle imprese

In tre mesi vola la raccolta registrata dai Piani individuali di risparmio

Quasi 1,1 miliardi in meno di tre mesi. A tanto è ammontata la raccolta netta registrata dai piani individuali di risparmio (Pir) nel primo trimestre di quest'anno in base ai dati diffusi da Assogestioni. Un risultato che va oltre le più rosee aspettative al punto che le stime di raccolta ora parlano di 10 miliardi entro fine anno contro i due miliardi previsti inizialmente. Un boom che ha visto protagonisti sia grandi player della consulenza (come Mediolanum) che società di gestione bancarie (Eurizon Capital, Pioneer, Arca, Anima) e sia emittenti di etf (Lyxor di Societè Generale). Non solo. La fotografia scattata a fine marzo è datata dal momento che sul mercato si sono nel frattempo affacciate molte altre case d'investimento (Aletti Gestielle, Allianz, Amundi, Duemme, Fidelity,Fideuram, Ubi Pramerica): alla data il numero di prodotti Pir disponibili al pubblico sfiora le 40 unità. Ma perché i Pir sembrano piacere davvero molto agli italiani? Ci sono diversi elementi che li rendono particolarmente appetibili. In primis il beneficio fiscale per coloro che li sottoscrivono e li mantengono per almeno cinque anni: dopo i 60 mesi scatta l'esenzione delle imposte sia sulle plusvalenze (capital gain dei titoli in portafoglio) e sia sui rendimenti (sulle cedole e i dividendi). I Pir prevedono un investimento massimo di 30 mila euro l'anno con un limite di 150 mila euro complessivi ma non c'è nessun vincolo in termini di anni: per esempio è possibile investire 30 mila euro in Pir all'anno per 5 anni (per un totale di 150 mila euro) ma anche 15 mila euro per 10 anni. Fermo restando che un Pir può essere sottoscritto esclusivamente dalle persone fisiche e non da un'azienda è inoltre esente dall'imposta di successione e, di conseguenza, può assumere un ruolo di rilievo nell'asse ereditario di un investitore privato. Il secondo elemento distintivo dei Pir è che il patrimonio sottostante deve essere investimento per almeno il 70% in strumenti finanziari di aziende italiane o estere europee con stabile organizzazione in Italia. Di questo 70%, il 30% deve essere indirizzato in società non presenti nell'indice di Borsa Ftse-Mib o in indici esteri equivalenti, in modo da far affluire denaro anche verso imprese medio-piccole. In pratica, almeno il 21% (il 30% del 70%) del capitale dei Pir confluisce in azioni e obbligazioni di quelle aziende di piccole e medie dimensioni che rappresentano l'ossatura manifatturiera del nostro paese e il meglio del made in Italy conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. Un universo di aziende ancora troppo dipendente dalle banche in tema di finanziamenti e che, proprio tramite i Pir, possono ora sfruttare un'altra importante fonte di finanziamento a medio lungo termine.

Tuttavia, occorre sapere dosare attentamente quanto dei propri risparmi destinare ai Pir per evitare o un eccessivo posizionamento sulle Pmi italiane oppure un orizzonte temporale d'investimento non adeguato

(per esempio se si ha in programma di sposarsi fra uno o due anni e si avrà necessità di rientrare del capitale investito). Per evitare problemi, la soluzione consiste nel rivolgersi al proprio consulente di fiducia.

EMon

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