Von Trotta racconta la santa ribelle, consigliera di Barbarossa

RomaNon c’è più religione. Una regista di fama internazionale come Margarethe von Trotta (nota per Gli anni di piombo) presenta il suo Vision nella città dove i santi si sprecano e, per illustrare al volgo il biopic monacale in concorso, equipara i mal di testa della cronista di Repubblica che l'ha appena intervistata alle estasi di santa Ildegarda di Bingen, qui protagonista. «Natalia Aspesi m’ha detto che a volte anche lei avverte, pam!, potenti mal di testa, come ne aveva Ildegarda, quando le appariva Dio», esordisce frau von Trotta, che non ha trovato un solo distributore disposto a rischiare, in profani tempi di crisi, mandando in sala l’estatico cineracconto (andato maluccio in Germania). Scherza coi fanti e lascia stare i santi? Macché: durante la proiezione del comunque girato benissimo drammone medievale, caldo di sottotoni e monastiche luci vespertine, i ragazzi della cinecommissione «La meglio gioventù», promossa da Giorgia Meloni, ridacchiavano come iene. Segno che certi discorsi, ormai, nella Roma laico-godona, non vengono recepiti neanche di striscio.
Certo, la storia di Hildegard von Bingen (1098-1179), santa e terapeuta, mistica e scrittrice, teologa, musicista e consigliera di Federico Barbarossa (gli preconizzò l’impero e la morte per annegamento) non pizzica le cordicelle del medioevo «rosa» così furbescamente toccate dal filmetto di Stefania Sandrelli su Cristina da Pizzano. Anzi, qui si tratta di lottare, duramente, per avere un pezzo di terra, un monastero per le consorelle, voce in capitolo davanti a papi e imperatori. Tutto quest’ambaradam in scala teutonica, con una Barbara Sukowa brava ad affrontare in senso antiretorico il ruolo rischioso della benedettina visionaria, e poi? «Anche il neurologo Oliver Saks, autore dell’Uomo che scambiò sua moglie per un cappello, sostiene che le visioni di Ildegarda, cui dedica un capitolo, provenivano da forti emicranie», banalizza la cineasta, che, in squadra con Liliana Cavani e a Marco Pontecorvo, firmerà due fiction per Raiuno, prodotte da Claudia Mori, sul tema della violenza sulle donne.
«Ho fatto un film su un personaggio del passato visto con gli occhi di oggi: non mi metto nella pelle di chi ha vissuto durante il medioevo. E cerco di sentire che cosa può interessare, ancor oggi, di questa visionaria, eletta a icona dalle femministe tedesche contemporanee. Ildegarda proteggeva la natura e l’uomo la sta distruggendo; scriveva a Barbarossa di non diventare avido di denaro, il che ora dobbiamo ripeterci ogni giorno; e scopriva la medicina alternativa, in nome dell’equilibrio tra anima e corpo», spiega la regista, che accarezzava l’idea di Vision dagli anni Ottanta. «Avevo scritto una sceneggiatura su Hannah Arendt al processo di Eichmann, ma dopo averla sottoposta al mio produttore ho capito che amava più Vision», svela quest’esponente della Neue Welle tedesca, nata a Berlino sotto la croce uncinata, nel 1942. «Temevo di diventare kitsch, o patetica: non potevo mettere le visioni, nel film, se non in chiave di sperimentazione video», dice l’ex moglie del regista Voelker Schloendorff.

E siccome il giornalista medio stenta ad approcciare un tema così alto, come quello d’una vita fisica a contatto con lo spirito, ecco partire la domandina: sarà mica che santa Ildegarda se la intendeva con consorella von Stade? «Ho girato un film storico: nessuna storia lesbica», taglia corto Margarethe, che voleva soltanto raccontare una santa.

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