Via Corelli, via Lazio e la prosecuzione, via Cima, tra Milano e Segrate, sono ricoperte dai graffiti dei writers. Passando in queste vie, al di là del valore artistico che tali opere possono avere o no, la prima impressione di fastidio è notevole, se non altro perché sembra si siano presi il diritto di usare un muro altrui per realizzare una propria opera. Non è così: cè un preciso accordo con Trenitalia, che ha concesso più di 1 km di superficie, tra via Cima-Lazio e via Corelli (sono le pareti del suo deposito di mezzi «antichi»), a Maso, il writer che si è occupato di chiedere la licenza dello spazio e che qui «ospita» i suoi amici-colleghi, basta una semplice richiesta: «La mia arte non va sopra le opere di qualcun altro - dice Maso - il vandalismo non è arte dei graffiti, è unaltra cosa: anzitutto reimbiancare costa, e poi, visto che si sta agendo illegalmente, si va di fretta e difficilmente si prevede il risultato. Bisogna chiarire cosè dipingere e cosè sporcare».
Il significato di un murales sarebbe quello di «rendere meno banale un territorio che lo è», e il muro si sceglie al posto della tela «perché dà unemozione diversa, sui muri racconto delle storie, e magari la gente andando in ufficio la mattina, come in via Lazio che non cè tanto traffico, mette le quattro frecce e si ferma a guardare», però bisognerebbe fare graffiti «solo su certi muri, quelli che non hanno più alcuna utilità».
Il mondo dei writer si è formato ormai quasi 40 anni fa, «cè una storia - continua Maso - che parte negli anni 60 a New York e Los Angeles: in periferia le bande mettevano dei colori sul muro per delimitare il loro territorio, chi non era ammesso in una o nellaltra banda, o se litigavano, andava a scrivere delle sigle sul colore della squadra avversaria. Poi siniziò a evolvere questa procedura facendo dei disegni sempre più articolati, fino ad oggi». Ormai questa forma despressione artistica porta con sé una serie di regole comportamentali, oltre che puramente tecniche, regole che, per Maso, non sono abbastanza conosciute: «In Italia il mondo dei writer spesso è commercializzato, vedi la mostra al Pac: non è ufficializzando questarte che si limiteranno le tag dei ragazzini di 15 anni sui muri e sui sedili degli autobus, sono cose fastidiose ma non derivano da una mancanza di spazi e di espressione per i graffitari. Semmai dalla loro ignoranza verso larte che praticano, nessuno dice loro cosa si fa e cosa no». Bisognerebbe educare i giovani writers, dovrebbero emergere delle idee più costruttive: «Bisogna conoscere larte in generale anzitutto, e nello specifico il background di tutta larte dei graffiti: se ogni writer avesse più consapevolezza le cose migliorerebbero».
Rivolge quasi un appello a tutti coloro che sporcano sedie nei pullman o muri non concessi con le tag eccetera: «Chiedo a tutti loro di informarsi, su quello che stanno facendo e sullarte in generale, prima di iniziare una cosa».
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