È ancora mistero sulla provenienza dell’arma usata per uccidere la mamma di tre bambini

Rimane solo da capire dove Giuseppe Di Stefano abbia trovato la pistola, poi tutto sarà chiaro nella tragica vicenda dello Stadera. Certo l’omicida, reo confesso, e il movente, l’uomo non accettava la separazione dalla moglie che a suo dire aveva trovato un altro compagno e cercava di impedirgli di vedere i figli di tre, quattro e cinque anni. Un tensione alimentata anche dalla vicinanza: i due erano dirimpettai nello stesso complesso Aler, divisi solo da un cortile.
Dopo la separazione infatti Di Stefano, 28 anni, operaio, originario di Catania come la moglie, era andato a vivere con il fratello e la sorella in un alloggio di via Barrili 9. Mentre Teresa Patania, 30 anni, donna delle pulizie in un albergo, si era spostata nella scala di fronte. L’altro pomeriggio poco dopo le 18 lei gli ha suonato al citofono, lui è sceso armato e senza dire una parola le ha esploso contro quattro colpi. Poi è salito in casa, dove ha atteso la polizia. All’arrivo degli agenti si è affacciato, rassicurando tutti: non avrebbe commesso altre sciocchezze. E ha accompagnato le parole gettando l’arma dalla finestra. I poliziotti sono saliti, l’hanno trovato insieme ai fratelli e ai nipotini, gli hanno intimato di alzare le mani e inginocchiarsi a terra. Ordini eseguiti senza battere ciglio dall’assassino. Smentito dunque che abbia sparato fuori dalla finestra.

Sono solo quattro i colpi esplosi dalla Beretta calibro 22 con matricola abrasa: un’arma clandestina, facile da trovare in quartiere come Stadera. Ma Di Stefano finora non ha ancora confessato come e da chi se la sia procurata.

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