Fornelli d'Italia, l'Italia s'è desta. Dell'elmo di Scipio eccetera eccetera. Oggi è il giorno della verità per la cucina italiana, quello che potrebbe segnare il suo ingresso tra i patrimoni immateriali dell'umanità. La decisione sarà presa oggi a New Delhi, in India, dove è in corso il ventesimo Comitato intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, nome pomposissimo dell'assemblea che deciderà - tra le altre cose - delle candidature presentate dai vari Paesi, che sono in totale 54. Tra esse la danza Xigubo del Mozambico e l'Antep Isi, un tipo di ricamo tipico della città turca di Gaziantep.
Candidature di fronte alle quali quella della tradizione gastronomica italiana, probabilmente la più amata del mondo, certamente nella top five in ogni possibile classifica del settore, sembrerebbe una potenza inaffondabile. E tutti i segnali sembrano indicare una «promozione» della nostra nomination, peraltro supportata da un dossier a prova di bomba presentato dall'Accademia della Cucina Italiana, da Casa Artusi e dalla rivista La Cucina Italiana. Va detto peraltro che sarebbe la prima volta che il riconoscimento va a un intero sistema gastronomico e non a una singola tradizione o ricetta.
Insomma, ci sorprenderemmo se oggi in India qualcosa andasse storto. Anche se tutti gli attori coinvolti ieri si trinceravano dietro una comprensibile forma di prudenza, compreso il ministro dell'Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, Francesco Lollobrigida: «Scaramanticamente aspettiamo il voto». Anche se poi, nell'introduzione al volumetto realizzato dal Masaf sulla candidatura che raccoglie le tappe e i numeri del settore, lo stesso ministro scrive che «riconoscere la cucina italiana come Patrimonio dell'Umanità significa non solo sostenere la crescita delle nostre imprese, ma soprattutto promuovere un percorso capace di garantire, anche in futuro, quel benessere che la nostra Nazione ha saputo donare all'umanità in molte occasioni».
L'inserimento della cucina italiana nel patrimonio culturale immateriale mondiale avrebbe certamente un valore simbolico per un sistema che nel mondo rappresenta il 19 per cento dei ristoranti con servizio e che nel 2024 ha raggiunto, secondo il Deloitte Foodservice Market Monitor, un valore complessivo di 251 miliardi di euro, con una crescita del 4,5 per cento su base annua. È difficile comprendere quale effetto possa avere il riconoscimento Unesco per una macchina da guerra gastronomica già così potente. Di sicuro le darebbe ulteriore prestigio e contribuirebbe a proteggerla dalle insidie dei tanti ristoranti italiani fake e dal fenomeno dell'«italian sounding» che affardella il nostro sistema agroalimentare.
Sarebbe però ingenuo considerare un eventuale successo indiano un punto d'arrivo.
Come segnala Roberta Garibaldi, massima esperta italiana di turismo enogastronomico, dovrebbe semmai spingere ad «attivare una strategia nazionale che unisca educazione, comunicazione e coinvolgimento culturale, trasformando scuole e social media nei nuovi custodi della cucina italiana. Solo così la candidatura Unesco potrà tradursi in un reale processo di tutela e rigenerazione del nostro patrimonio gastronomico».Intanto, però, buon appetito a tutti.