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"Così entro dieci anni potremo dire addio alle sigarette"

Il vice presidente della comunicazione globale di Philip Morris International, Tommaso Di Giovanni, scommette su un futuro senza fumo entro un decennio: "Ma serve collaborazione tra istituzioni, società civile e aziende"

"Così entro dieci anni potremo dire addio alle sigarette"

Neuchâtel (Svizzera) - "Sostituire le sigarette con valide alternative basate su scienza e tecnologia è la nostra priorità e la chiave della sostenibilità della nostra industria". Tommaso Di Giovanni, vice presidente della comunicazione globale di Philip Morris International non ha dubbi sul fatto che, grazie alla scienza e ad una collaborazione virtuosa tra settore pubblico e privato, un futuro senza fumo possa diventare realtà nel giro di pochi anni.

Ma perché un’azienda come la vostra ha scelto di intraprendere questo percorso?

"Ci sono due ragioni principali. La prima è che il nostro prodotto, la sigaretta, provoca malattie e dipendenza. Se si riesce a trovare una soluzione a questa problematica si va incontro ad un’esigenza molto importante di salute pubblica. Ce lo chiedono da decenni, semplicemente prima non avevamo la scienza e la tecnologia per farlo. Ora che possiamo ha assolutamente senso allinearsi con le aspettative della società. La seconda ragione è legata al nostro business. Essere pionieri di questo cambiamento significa anche avere un vantaggio competitivo: non a caso una parte dei consumatori che sceglie i nostri prodotti senza combustione viene dalla concorrenza".

L’obiettivo, quindi, è quello di mandare in pensione le sigarette. Quanto ci vorrà?

"Dipende da una serie di circostanze, noi stiamo facendo tutto il possibile. Abbiamo scelto di dedicare ai prodotti innovativi il 99 per cento della nostra ricerca e sviluppo, più del 70 per cento della nostra spesa commerciale, e un’organizzazione dedicata a questo. La realtà, però, è che il cambiamento dipende anche da altro, dai messaggi che vogliono dare le autorità di salute pubblica, dalle organizzazioni non governative, dalle associazioni di consumatori, dai nostri concorrenti. In alcuni Paesi la percentuale di utilizzo di questi prodotti è già significativa, penso al Giappone e al Regno Unito, dove un terzo dei fumatori che sono passati ai dispositivi senza fumo. In alcune città italiane come Roma e Milano siamo oltre il 20 per cento. In posti come questi, se c’è dialogo, consenso e la volontà politica di andare avanti rapidamente, fra dieci o quindici anni le sigarette diventeranno pezzi da museo".

Quindi anche l’Italia è tra i Paesi dove i dispositivi senza combustione sono stati accolti con entusiasmo?

"In un primo momento l’Italia era partita sotto tono. Poi però c’è stata un’accelerazione e oggi è uno dei Paesi in cui questi prodotti stanno sostituendo a velocità crescente le sigarette. I dispositivi senza fumo sono stati accolti con una legislazione che li ha differenziati dalle sigarette tradizionali. Ma c’è anche chi come il Ministero della Salute, ha espresso opinioni meno positive. Questo rallenta il processo di adozione del prodotto, ma sono fiducioso: le evidenze scientifiche sono talmente forti e c’è talmente tanto consenso da parte delle autorità di salute pubblica degli altri Paesi, che sarà solo una questione di tempo. Da parte nostra, sulla base delle conclusioni scientifiche continueremo il dialogo per dimostrare che questo prodotto è migliore delle sigarette".

A proposito, quanto è importante la collaborazione tra pubblico e privato in questo settore?

"Direi importantissima. Pensiamo al caso del Covid: le aziende del settore farmaceutico hanno cooperato con le autorità sanitarie e i medici per trovare insieme una soluzione. E la cosa sta funzionando. Oppure all’industria delle auto e alla transizione verso l’elettrico. Questa concertazione è il modo migliore per risolvere i problemi della società. La domanda è perché non possiamo applicare lo stesso metodo al tabacco e alla nicotina, visto che funziona altrove e visto che oggi abbiamo ricerca, sviluppo di prodotti e un cambiamento che è veramente reale?"

Quali sono i vantaggi per i fumatori che scelgono di abbandonare le sigarette per i dispositivi che riscaldano il tabacco?

"Tra i più evidenti c’è l’assenza di odore, perché questi prodotti non generano particelle solide e non bruciano, l’assenza di cenere, una serie di benefici immediati sul fronte dell’igiene dentale. C’è una differenza netta tra i due prodotti e un beneficio potenziale per la salute pubblica, che ovviamente va valutato dalle autorità".

Anche l’Unione europea si sta occupando di questo tema, con l’obiettivo di ridurre al 5 per cento entro il 2040 il numero totale dei fumatori.

"Non si discute sul fatto che diminuire l’uso delle sigarette sia una cosa che ha senso dal punto di vista della salute pubblica: questi prodotti fanno male. La domanda è quale sia la strategia migliore per raggiungere questo risultato. L’esperienza ci insegna che il modo migliore è riconoscere che la maggior parte dei fumatori semplicemente non vuole smettere. A queste persone vanno offerte alternative, ed è esattamente quello che stanno facendo alcuni Paesi come Regno Unito e Nuova Zelanda. In un certo senso l’ha fatto anche l’Ue nel 2014 con la direttiva che differenziava le sigarette elettroniche e i prodotti a tabacco riscaldato dagli altri prodotti. Se si mettesse insieme un quadro normativo per tutti i Paesi con restrizioni importanti sulle sigarette e la possibilità per i fumatori di ricevere alternative migliori si potrebbe rapidamente archiviare il fumo tradizionale".

Altrimenti?

"I divieti tout-court non servono a molto. Lo dimostra il caso della Francia dove l’aumento della fiscalità e delle restrizioni su tutti i prodotti ha fatto crescere a dismisura il commercio illecito, che ha raggiunto il 30 per cento.

La morale è che le persone si procurano comunque le sigarette e così l’incidenza del fumo non scende in modo significativo".

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