Due giorni fa, il «Giornale» ha pubblicato, nelle pagine culturali, una «lettera aperta» contro le élites dell'arte firmata da Guido Fabrizi, un fotografo director selezionato per la Biennale d'Arte rivolta a quanti - artisti, intellettuali, giornalisti - nelle scorse settimane hanno criticato coloro che non hanno avuto il «coraggio» di rifiutare l'invito. E macchiandosi, a seconda dell'accusa, di una delle due «colpe»: o di collaborazione col nemico (Sgarbi, il Governo, Berlusconi...); o di accettare la «rivoluzione» di Sgarbi che ha chiamato molti artisti, anche sconosciuti, invece che i soliti (pochi) noti. Proprio mentre polemiche simili hanno investito la Biennale di Torino, questa lettera, nel mondo dell'arte è stata letta e discussa, a partire dal sito «Artribune» ed «exitbart». Oggi la riproponiamo anche sul sito del «Giornale», chiedendo agli addetti ai lavori - e non solo - cosa pensano del rapporto tra scelte artistiche e scelte politiche.
Ecco la lettera:
Io, fotografo senza padrini
non mi vergogno
di aver detto sì alla Biennale
di Guido Fabrizi
Mi chiamo Guido Fabrizi, sono uno dei partecipanti della Biennale ed espongo a Roma presso il Padiglione Italia di Palazzo Venezia. Devo fare uno piccola premessa. Penso di essere una persona che cerca di esprimere qualcosa a livello puro, senza fini nascosti. In questo contesto di crisi economica, continuo con le mie deboli forze a dare il mio piccolo contributo alla comunicazione sociale, come fotografo e regista, senza ritorni economici né di visibilità, poiché solitamente le campagne non si firmano e il no-profit non dà quadagni... (Toscani a parte!). E in questo personale percorso, per mantenermi, non essendo ricco di famiglia, svolgo lavori manuali che molti degli artisti che hanno snobbato la Biennale non farebbero fare neanche al loro cameriere...
Sono stato invitato ad esporre alla Biennale una mia immagine fotografica senza conoscere nessuno, senza essere appetibile come merce di scambio. Un sabato pomeriggio Vittorio Sgarbi mi ha chiamato, avendo visto una mia immagine su internet, e mi ha proposto semplicemente di esporre alle Biennale senza secondi fini. Non abbiamo neanche le stesse idee politiche...
Quindi ho pensato di accettare senza "aristocratismi" artistici perché forse la Biennale del centocinquantesimo anno dall'Unità d'Italia doveva esprimersi proprio in questo modo.
La scelta di non partecipare, da parte di alcuni artisti, potrebbe essere solo una posizione politica pronta a prendere il prossimo treno, e non a vivere l'arte in "senso puro". Facile cogliere la provocazione del momento supportata dal consenso. Ma l'arte non è questo. I partigiani erano un'altra cosa: lottavano e morivano coerentemente per la libertà, ed i miei parenti ne sanno qualcosa.
Quindi, da partecipante alla Biennale che vive la propria vita espressiva al di sopra delle parti, reputo ingiusto dovermi sentire non meritevole della vostra solidarietà, semplicemente per non aver espresso un "No" che, nel mio caso, sarebbe stato forse più conveniente da un punto di vista del marketing... La mia presenza all'interno del Padiglione Italia di Palazzo Venezia non ha alcuna matrice politica, né clientelare, né "salottiera". È per questo motivo che ritengo di aver diritto allo stesso rispetto e solidarietà di coloro che hanno rifiutato, seguendo motivazioni che personalmente non mi sento di giudicare.
Perché voler far apparire tutti i partecipanti della Biennale come delle pecore asservite? Parliamo di pregiudizio e generalizzazione. Due parametri di valutazione che da sempre distorcono la realtà.
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