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Liedholm e la sua cricca: lo scudetto a Roma dopo 41 anni

Nel 1983 i giallorossi vinsero il campionato da contestati e sfavoriti: il colpo di prestigio del maestro svedese

La Roma prima di scendere in campo
La Roma prima di scendere in campo

D’accordo. L’estate del 1982 non contempla altri sentimenti: solo una gioia esagerata, che copre ogni preoccupazione. L’Italia campione del mondo riempie le piazze e gonfia i cuori. Poi però lentamente quella botta di felicità che ti aveva aderito all’anima inizia a scollarsi. Le cose scivolano gradualmente verso la normalità. La stagione va sfumando, il buonumore si dissolve ed un nuovo campionato si appresta a suonare il gong.

Che poi non sarebbe un male, a meno che uno non tenga per la Roma e si ritrovi a sfogliare la lista degli acquisti altrui. Perché la Juve si è messa in casa Platini e Boniek. L’Inter ha prelevato Hansi Muller e Collovati. La Fiorentina ha piazzato il colpo Passerella. I giallorossi, invece, sembrano essersi mossi sotto traccia. Dino Viola ha concesso mandato di fare shopping, ma gli acquisti non fanno vibrare nessun punto sopito in fondo al petto. Wierchowod è un centrale di razza, ma non esalta. Lo stesso vale per Maldera, giunto dal Milan, mentre per l’attacco spunta Iorio del Bari.

Ancelotti

La piazza rumoreggia, ma Viola sa che il suo investimento migliore si trova già in squadra. Se il patron sfrega il sogno scudetto praticamente da quando è arrivato, è perché confida senza esitazioni nella forza placida di Nils Liedholm e nelle levate d’ingegno del Divino Paulo Roberto Falcão. Avvitandosi intorno a questi architravi la Roma deve costruire le proprie fortune. Così Dino tamburella per qualche istante con le falangi sulla gigantesca scrivania in mogano, poi impartisce direttive nitide al suo direttore sportivo, Nardino Previdi. Quello non è così convinto, ma in fondo se lo dice la proprietà è vangelo e buonanotte all’autonomia.

Viola gli ha espresso un concetto asciugato da ogni fronzolo: “Decide Nils, devi fare la squadra che vuole lui”. Dall’Inter arriva “lumachina” Prohaska, regista bagnato dalla luce della provvidenza calcistica, ma dal passo evidentemente cadenzato. Agli altri sodali precedentemente rammentati vanno aggiunti Nela, il terzino Nappi e il fantasista Chierico, riscattato dopo una manciata di performance abbaglianti. Gregari di lusso secondo la dirigenza, dal momento che in squadra hai già gente come Carletto Ancelotti, Bruno Conti, il Principe Giannini e quel bomber di Pruzzo. Complementi d’arredo per i tifosi, che si aspettavano ben altro per un deciso cambio di passo.

A lasciare perplessi è, specialmente, la sovrabbondanza di registi e terzini. Pare una squadra sbilanciata, costruita senza logica, sulla scia delle bizze di un profeta appannato. Quando però la disposizione mentale diventa trasposizione tangibile sul campo, appare evidente a tutti come il disegno dello svedese sfoggi contorni chirurgici.

La Roma parte con il piglio giusto e si arrampica in cima alla classifica in fretta. Ancelotti e Falcão ricamano, Conti dribbla qualsiasi cosa si muova, la difesa regge e l’attacco sembra aver fatto una doccia di cinismo. Sulla scia della Lupa si colloca per un pezzo il sorprendente Verona di Bagnoli, neopromossa terribile. Non durerà troppo a lungo. Giallorossi campioni d’inverno e in controllo anche per la seconda parte di stagione. La Juve, tossicchiante all’inizio, si riprende sospinta dai colpi di Platini: prevale due volte su Liedholm, ma non basterà.

Dodici gol per Pruzzo, sette a testa per Di Bartolomei e Falcão. Il contributo dirompente dei primi violini e quello silenzioso dei flauti minori. Quella di Nils è una sinfonia priva di sbavature. A fine stagione sarà di nuovo scudetto, quarantuno anni dopo la prima volta: praticamente un’era geologica.

In fondo l’estate del 1982 resta un sogno lucido, ma quella successiva non è andata affatto peggio, se tenevi per la Roma.

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