Un cancro minaccia il Pdl Rischia di diventare un partito delle tessere

Il Pdl, minacciato dalla caccia alle tessere, rischia di diventare una nuova versione dei vecchi partiti, tradendo la prima idea di Forza Italia

Un cancro minaccia il Pdl 
Rischia di diventare 
un partito delle tessere

C’è un cancro che minaccia il Pdl e che non è riconducibile alle difficili decisioni che la maggioranza è chiamata a prendere su materie economiche e non soltanto. Si chiama «tesseramento», antica prassi di misurare le forze interne esclusivamente in base al numero di iscritti che si riescono a portare nel partito. Non conta saper fare politica, essere in sintonia con il leader o con il programma, non è importante quanto consenso elettorale hai ottenuto: conta saper vendere tessere. Più ne hai, più scali i vertici con le votazioni che avvengono nei congressi. Esattamente l’inverso della filosofia con la quale Forza Italia ha sbaragliato 18 anni fa proprio i partiti delle tessere.

Dico questo perché in queste ore dentro il Pdl i vari capi bastone si stanno scannando a caccia di tessere. Dispetti, sgambetti, furbate. Come il caso scoppiato ieri quando è stata intercettata una e-mail spedita dal presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, a centinaia di simpatizzanti nella quale si chiedeva di inviare per internet una copia della carta di identità per procedere all’iscrizione. Procedura, secondo i rivali di Podestà, anomala, ma non è questo il problema. La vera anomalia è che seguendo questa strada il Pdl rischia di diventare una nuova versione dei vecchi partiti, utili ad alimentare se stessi, avvitati sulle proprie guerre interne.

Un piccolo consiglio non richiesto: fermatevi finché siete in tempo. Al Pdl certo che ci si deve iscrivere, per finanziarlo, per sostenere il suo leader, per partecipare a una avventura che è tutt’altro che morta. Lo si è sempre fatto e bisogna continuare. Ma questo non deve essere un mezzo per dividere il partito in correnti e potentati. Sarebbe una contraddizione. La sua forza infatti sta proprio nella leggerezza tanto contestata dagli avversari, proprio perché contro di essa gli apparati burocratici perdono. Il consenso lo si raccoglie per strada tra gli elettori, innovando la politica, non contandosi in congressi che ne celebrano i riti peggiori. E neppure in primarie farlocche. E poi contarsi per che cosa? Per prendere il posto di Berlusconi? Illusi. Forse non è chiaro a tutti che un minuto dopo che Berlusconi dovesse cadere rovinosamente, le tessere diventerebbero carta straccia, coriandoli per festeggiare un suicidio collettivo. È che i politici ogni tanto perdono la testa inseguendo sogni. Ma l’unico che si è avverato è quello fatto nel ’93 da Silvio Berlusconi, ed era di tutt’altro genere: poco partito, tanto governo, sul modello dei comitati elettorali americani. Allora era piaciuto anche a chi oggi lo contesta o mina dall’interno. Ma soprattutto era piaciuto agli elettori.

Io credo che si sia ancora in tempo a riprendere la strada maestra, che non è quella dei

congressi, delle cene carbonare, delle tessere ad personam. Cosa che peraltro potrebbe essere anche tempo perso. Perché scommetto che alla fine di questa folle ricreazione tutto tornerà esattamente come prima. O almeno lo spero.

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