Letteratura

La "casta" dei mafiosi si sta prendendo l'India

Una famiglia di criminali è il segno dell'epoca Kali Yuga, dominata da materialismo e violenza

La "casta" dei mafiosi si sta prendendo l'India

«Mi oppongo alla violenza perché, quando sembra produrre il bene, è un bene temporaneo; mentre il male che fa è permanente». La filosofia di vita del Mahatma Gandhi è opposta da quella incarnata dai protagonisti di un eccellente noir, L'età del male (Einaudi, pagg. 648, euro 22, traduzione di Alfredo Colitto) di Deepti Kapoor che racconta l'ascesa criminale della famiglia Wadia. Questa dinastia ha ramificato e stratificato il male nella nuova India capitalistica, un Paese che non è di certo «per vecchi», né un luogo dove le tradizioni vengono rispettate, bensì una giunga popolata da belve umane.

L'età del male non è il primo romanzo che ci descrive il malessere di una nazione che oggi ha assunto un'identità oscura. Le dodici domande e I sei sospetti di Vikas Swarup (editi da Guanda), Shantaram di Gregory David Roberts (Neri Pozza) e La tigre bianca (Einaudi) di Aravind Adiga hanno già messo il dito nella piaga ed evidenziato le contraddizioni e mostrato le ferite aperte di una società che non ha eliminato le distinzioni di casta e le diseguaglianze sociali e dove la gente, negli ultimi tempi, ha imparato a legalizzare loschi traffici e omicidi. L'occhio di Deepti Kapoor nel raccontare il suo Paese è acuto e il suo stile è secco e diretto, tanto da somigliare a un reportage o a una docufiction (non a caso molti fatti reali sono celati dietro quelli immaginari del libro). Forse per questo l'autrice ci racconta fra le altre peripezie anche quelle di una reporter del Delhi Post che decide di mettersi alle calcagna della famiglia Wadia per carpire i segreti del loro impero. La giovane Neda scoprirà che il loro dominio è stato basato grazie alla speculazione edilizia, alle miniere, agli zuccherifici, ai trasporti. E lei si lascerà abbagliare dal mondo del male.

Seguiamo inoltre le vicende dei due grandi boss Bunty e Vicky che gestiscono gli affari della famiglia in città e in campagna, ma anche quelle del crudele e triste rampollo Sunny e del suo autista Ajay. È il punto di vista di quest'ultimo quello che apre la storia. Ha appena investito per strada cinque derelitti, fra i quali una donna incinta e suo marito, e la polizia lo ha trovato al volante di una Mercedes non sua, ma appartenente a un famoso giocatore di polo. Ajay è ben vestito, profumato, pieno di soldi e ubriaco marcio di whisky. Viene spedito nel penitenziario di Tihar e fin dal suo arrivo scopre che la sua sopravvivenza laggiù non sarà facile. La condanna sembra per lui sicura e i giornali lo hanno già giustiziato mediaticamente. Le gang in carcere lo aggrediscono e deve sopravvivere a violenti pestaggi. È una belva in gabbia e ferita.

Eppure, quando gli inquirenti scoprono che Ajay è legato alla famiglia Wadia la ruota gira e il suo destino muta. Perché non c'è niente che quella banda non possa comprare e mettere a tacere, né nei sobborghi dei villaggi dell'Uttar Pradesh né per le vie di Nuova Dehli. I Wada coltivano il vizio della violenza e ne hanno fatto la loro ragion d'essere. Perché l'India è ormai per loro un luogo senza leggi e senza dèi. Qui le ingiustizie millenarie non sono mai state cancellate e i colonialisti hanno seminato odio e divisioni, hanno cancellato miti e tradizioni facendo capire agli indiani che soltanto violenza e corruzione possono produrre potere e soltanto le nuove caste possono arrivare a gestirlo.

Quello che Deepti Kapoor ci descrive è il «Kali Yuga», ovvero la nuova epoca del declino spirituale in cui i desideri degli uomini diventano insaziabili e la crudeltà, assieme al vizio, è sovrana. Il male non è quindi banale o casuale, ma diventa uno status sociale di sopravvivenza e per mantenerlo attivo bisogna compiere azioni innominabili, come quelle a cui i Wadia sono abituati per mantenere la forza del loro impero. In particolare il giovane Sunny ha scoperto che la vera vita per i rampolli delle nuove gang non consiste più nelle feste nei villaggi, ma nei grandi party di città pieni di donne, alcool, droga. Lui e i suoi amano essere trattati come i ricchi stranieri, girano con macchine di lusso, frequentano locali esclusivi: «spendono. Vogliono tutti i comfort e non coltivano il romanticismo della miseria».

Speculare al racconto de L'età del male è sicuramente il film-documentario Mumbai Mafia: lotta alla criminalità organizzata in India (prodotto nel 2023 da Morgan Matthews e Sophie Jones e diretto da Raaghav Dar e Francis Longhurst) disponibile sul canale Netflix che racconta attraverso interviste e ricostruzioni gli scontri tra la polizia di Mumbai e la mafia indiana capitanata da Dawood Ibrahim, Abu Salem e altri criminali.

La connivenza con i poteri politici e la corruzione presente (anche in parte delle forze dell'ordine) aveva prodotto nella città un clima di violenza e insicurezza intollerabile che portò alla decisione di creare una vera e propria task force chiamata «i poliziotti dell'incontro» che potesse combattere autonomamente i criminali facendo un uso speciale delle armi da fuoco e applicando tecniche di arresto che non permettessero nessuno scampo alle gang.

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