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Fondi pensione: calano i rendimenti, ma crescono gli iscritti. Corre il Tfr

La relazione annuale Covip delinea un quadro in chiaroscuro per i fondi pensione, in calo sul breve termine rispetto al Tfr, ma positivi sul lungo periodo

Fondi pensione: calano i rendimenti ma crescono gli iscritti. Corre il Tfr
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Le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari hanno toccato a fine dello scorso anno 205,6 miliardi di euro, con un calo del 3,6% rispetto al 2021, dovuto all’andamento negativo dei mercati finanziari. Un ammontare pari al 10,8% del Pil e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. È quanto emerge dalla relazione annuale di Covip (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione), che sottolinea come il crollo dei mercati abbia inciso quasi indistintamente sui risultati di gestione delle forme complementari, sia per le linee di investimento a maggiore contenuto azionario, sia per quelle obbligazionarie. Se però da un lato le difficoltà del 2022 non hanno risparmiato i rendimenti dei fondi pensione, hanno visto dall’altro aumentare le quote di iscritti e contributi versati. Esamineremo nel dettaglio i dati relativi alle prestazioni di questi fondi e li compareremo con quelle del Tfr, ma prima facciamo un rapido riassunto di cosa sono i fondi pensione e quali le varie tipologie.

Fondi pensione: cosa sono e differenti tipologie

Strumento di risparmio di lungo periodo, i fondi pensione hanno come finalità principale l’integrazione pensionistica, servono cioè per colmare l’inevitabile scarto previdenziale tra pensione pubblica e ultimo reddito percepito dal lavoratore. È sempre possibile aderire ai fondi pensione per la pensione integrativa e lo è per tutte le categorie di lavoratori (dipendenti pubblici, privati, liberi professionisti, lavoratori autonomi) ma anche a non lavoratori, compresi studenti e soggetti fiscalmente a carico (che siano minorenni o no). Si distinguono in tre diverse categorie, in base al soggetto che li istituisce e a chi può aderirvi:

Fondi pensione aperti: si caratterizzano per il fatto che chiunque può aderirvi, indipendentemente dalla categoria lavorativa di appartenenza, compresi i non lavoratori o i fiscalmente a carico. Sono appunto “aperti” sia alle adesioni individuali, sia alle adesioni collettive (quelle cioè soggetti ad accordi specifici con il datore di lavoro o le rappresentanze sindacali). I fondi pensione aperti possono essere costituiti da banche, imprese assicurative, SIM (società di intermediazione mobiliare), o SGR (società di gestione del risparmio).

PIP o Piani Individuali Pensionistici: possono essere istituiti esclusivamente da imprese assicurative. Pur essendo concepiti come contratti di assicurazione sulla vita, si tratta a tutti gli effetti di fondi pensione, assoggettati quindi alla medesima disciplina. Si caratterizzano perchè accettano esclusivamente adesioni di tipo individuale.

Fondi pensione chiusi o negoziali: definiti così in quanto l’adesione è riservata solamente a specifiche categorie di lavoratori. Istituiti da accordi o contratti collettivi di lavoro, ammettono solo adesioni in forma collettiva dei lavoratori a cui i contratti o accordi collettivi istitutivi dei fondi stessi fanno riferimento.

Per una trattazione più approfondita su questa forma previdenziale, vi rimandiamo al nostro articolo precedente sull’argomento (https://www.ilgiornale.it/news/cittadini/pensione-integrativa-che-cos-chi-interessa-quali-vantaggi-2142283.html).

Rendimenti in calo rispetto al Tfr, ma positivi sul lungo periodo

Secondo i dati elaborati da Covip, nel 2022 il rendimento medio dei fondi negoziali è stato negativo per il 9,8%, per i fondi aperti del 10,7% e per i Pip nuovi dell’11,5%. Confrontando poi i dati relativi al Tfr nello stesso periodo, emerge che questo si è rivalutato dell’8,3%. Laddove invece il risultato del risparmio previdenziale si mostra superiore al 2% per tutti i fondi, è nell’analisi degli ultimi dieci anni, periodo ritenuto più adeguato per valutare il risultato del risparmio previdenziale, che si va ad allineare con il riprezzamento del Trattamento di fine rapporto (+2,4%). Da fine 2012 al 2022, infatti, i fondi negoziali hanno reso mediamente il 2,2%, mentre gli aperti il 2,5% e i Pip il 2,9%. Nello stesso periodo la rivalutazione del Tfr media annua è stata pari al 2,4% mentre l'inflazione è stata in media dell'1,7% annuo.

Se poi si guarda ancora più in là, cioè agli ultimi 20 anni, i fondi negoziali registrano un +2,9% netto annuo e gli aperti un +2,7% mentre il Tfr presenta una rivalutazione media annua del 2,5% a fronte di un’inflazione media annua dell’1,9%. Guardando infine solo agli ultimi tre anni, le performance dei fondi si dimostrano lievemente negative, mentre l’accantonamento dello stipendio appare rivalutato in media del 4,3% annuo, in ogni caso meno dell’inflazione (4,9%).

Iscritti e contributi in crescita

Positivo il bilancio degli iscritti, cresciuti lo scorso anno del 5,4% a quota 9,2 milioni, per un tasso di copertura del 36,2% sul totale delle forze di lavoro. In particolare, sono stati 6,6 milioni coloro che hanno versato contributi durante l’anno, il 26,3% degli occupati. Quasi 10,3 milioni invece le posizioni in essere, in aumento del 5,8%. Covip sottolinea poi che i versamenti del 2022 ammontano a 18.237 milioni (in crescita rispetto all’anno precedente), con un aumento del 3,6%, mentre le risorse destinate alle prestazioni sono pari a 205.596 milioni (-3,6%). In particolare, 6,1 miliardi sono affluiti ai fondi negoziali (+4,6%), 2,8 miliardi ai fondi aperti (+7,8%), 5 miliardi ai Pip (+2,4%) e 4,1 miliardi ai fondi preesistenti, cioè quei fondi già presenti in Italia prima dell’istituzione della previdenza complementare (+1,5%). Il totale delle risorse destinate alle prestazioni è pari al 10,8% del Pil e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.

I fondi negoziali contano 3,7 milioni di iscritti, quelli aperti quasi 1,8 milioni e i Pip nuovi 3,5 milioni. Sono invece circa 650mila gli iscritti ai fondi preesistenti. 332 il totale dei fondi pensione in Italia alla fine del 2022: di questi, 33 i negoziali, 40 gli aperti, 68 i piani individuali pensionistici, 191 i preesistenti. Significativo il dato relativo al numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema, in costante riduzione: nel 1999, le forme erano 739, oltre il doppio. Se guardato però in un’ottica di razionalizzazione del sistema, si fa notare da Covip, il fenomeno “consente di conseguire economie di scala e guadagni di efficienza a vantaggio degli iscritti".

Tendenza degli investimenti

Guardando agli investimenti, la quota destinata dai fondi pensione all’economia italiana si attesta a 35,5 miliardi, pari al 20,9% del patrimonio, in calo sia in termini percentuali, sia in valore assoluto rispetto al 2021 (rispettivamente, 22,7% e 40 miliardi). A rappresentarne la fetta più cospicua, i titoli di Stato, con 26,1 miliardi di euro.

In generale, la distribuzione degli investimenti registra la prevalenza della quota in obbligazioni governative e altri titoli di debito, per il 54,6% del patrimonio, il 15,4% dei quali sono bond governativi italiani. In calo rispetto al 2021 i titoli di capitale, al 20%, e le quote di Oicr (Organismo di Investimento Collettivo del Risparmio), passate dal 16 al 15,3%. I depositi si attestano invece al 6,5%. Sostanzialmente stabili gli investimenti immobiliari, diretti o indiretti, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, che rappresentano circa l’1,9% del patrimonio.

Differenze fra fasce sociali e generazioni

In fatto di aderenza ai fondi pensione, gli uomini continuano a essere in maggioranza: il 61,8% degli iscritti (73% per i fondi negoziali). Confermato anche il divario generazionale: la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più vicine all’età di pensionamento. Il 48,9% ha infatti un’età compresa tra 35 e 54 anni, il 32,3% ha almeno 55 anni e solo il 18,8% è sotto i 35. Per la presidente facente funzioni di Covip, Francesca Balzani, “la crescente incidenza di carriere discontinue e frammentate, spesso accompagnate da curve salariali piatte, evidenzia che chi più avrebbe bisogno di un’integrazione del reddito pensionistico è paradossalmente meno in grado di partecipare alla previdenza complementare”.

In questo quadro, sottolinea la manager, bisognerebbe “rimodulare gli incentivi in funzione del reddito degli iscritti, prevedendo un intervento diretto dello Stato a sostegno delle posizioni pensionistiche di determinate categorie, e in particolare dei più giovani”.

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