Alla corte di Fontainebleau fra Papi, matrimoni e re

Il palazzo celebra i 300 anni delle nozze di Luigi XV. Ma fu Napoleone a trasformarlo in una reggia unica

Alla corte di Fontainebleau fra Papi, matrimoni e re

Per quanto Fontainebleau, la sua reggia, la cittadina che le fa corona, in questi giorni festeggino Luigi XV, il suo matrimonio a 300 anni dalla sua celebrazione, e con esso "l'arte di vivere" a corte durante l'ultimo vero sovrano dell'Ancien Régime (Luigi XVI che gli subentrerà si ritroverà alle prese con una bancarotta finanziaria e il risvegliarsi di una fronda tanto aristocratica quanto borghese), è ancora e sempre Napoleone a dettare le regole dell'immedesimazione. Nonostante che, dal Medio Evo in poi, le dinastie reali vi si siano succedute, dai Capeto ai Valois, ai Borbone, è nel nome di chi una dinastia se la creò da sé e la impose alla Francia che la vita di Fontainebleau continua a essere scandita. All'interno del castello, del resto, ci si prepara a ricordare il quarantennale del Museo Napoléon I, ovvero un insieme di collezioni napoleoniche considerate fra le più preziose di Francia, e all'esterno è un proliferare di alberghi, ristoranti, negozi di antiquariato e di artigianato che se ne rimbalzano il nome nonché qualche riferimento alla sua gloria. C'è persino un bistrot intitolato Aux Grognards, ovvero i soldati fedelissimi della Vecchia guardia, gli stessi che il giorno della sua abdicazione proprio qui a Fontainebleau, nel 1814, l'imperatore decaduto salutò con l'affetto di chi pensava fosse l'ultima volta che si incontravano, gli stessi che un anno dopo, nei drammatici "cento giorni" in cui si illuse di poter ancora vincere, si ritrovò al suo fianco. Persino l'hôtel de Londres, il più carino della città, che vide la luce un decennio dopo Waterloo, cerca di far dimenticare l'anglofilia della sua insegna affiancandole nelle stanze quadri e stampe in cui è solo e sempre l'epopea napoleonica a farla da padrone.

La prima volta che "l'imperatore" vi mise piede era il 1803 e l'impero ancora non c'era. Visitò il castello a passo di carica, come suo solito, ma con il massimo scrupolo, sempre come suo solito: ne constatò "lo straordinario stato di degrado e di abbandono" in cui versava e diede incarico al suo architetto Fontaine di provvedere: dopotutto doveva ospitare il papa, Pio VII, a cui aveva chiesto di lasciare Roma per venirlo a incoronare a Notre-Dame. Era una richiesta in stile il Padrino, di quelle che non si potevano rifiutare e infatti il pontefice, per quanto suo malgrado, aveva detto sì. Qualche anno dopo, però, osò dire no fino al punto di scomunicarlo, per ragioni più politiche che religiose, l'annessione dello Stato pontificio all'impero, e si ritrovò prima incarcerato ad Avignone, poi a Savona, infine a Fontainebleau, in 11 stanze che un tempo erano state quelle di Anna d'Austria. È in questa "gabbia dorata" che Napoleone gli strappò alla fine un nuovo concordato, il 13 febbraio del 1813, risultato di giorni di alterchi, blandizie, minacce. "Mi ha trattato con alterigia e disprezzo" dirà Pio VII al cardinale Pacca. Secondo altre fonti, Napoleone, esasperato per la sua resistenza a firmare, lo prese addirittura per un bottone della sottana e lo scosse come una foglia... "Comediante! Tragediante!" sembra abbia esclamato il pontefice al termine di un incontro particolarmente tempestoso... Come che sia, un mese dopo, il papa si rimangiò tutto per iscritto: "Ci siamo sporcati" confidò al fidato cardinale Pacca, ma intanto l'impero stava militarmente andando a rotoli e le questioni religiose erano ormai tanto inutili quanto superflue. A fine febbraio del 1814, Napoleone fece sapere di "aver permesso al Vescovo di Roma di rientrare nella sua diocesi". A maggio, Pio VII fece il suo ingresso nella capitale, dopo cinque anni di esilio: Napoleone, un mese prima, aveva preso il mare diretto all'isola d'Elba. Nel lasciare Fontainebleau aveva confidato al suo ministro degli Esteri, Caulaincourt: "Se sono saggi, i Borbone dovrebbero limitarsi a cambiare le lenzuola del mio letto". In meno di dieci anni lo aveva arredato a nuovo da cima a fondo, allestito nuovi appartamenti pubblici, trasformato la camera del Re in sala del Trono (la sola ancora esistente in Francia con il mobilio d'origine), portato a termine un insieme decorativo di epoca Impero che a distanza di due secoli rimane ineguagliato. Nell'esilio di Sant'Elena dirà che Fontainebleau era "la vera dimora dei re, la casa dei secoli".

In effetti, nella geografia, immaginaria e no, dei francesi, Fontainebleau, come scrivono Jean-François Hebert e Thierry Sarmant nel libro che le hanno dedicato e che per titolo ha semplicemente quel nome (Tallandier, pagg. 246 pagine, euro 11), è un qualcosa a parte, nel tempo come nello spazio. Non deve niente a Parigi, a differenza di Vincennes, di Versailles e di La Malmaison. Accoglieva i re Capetingi prima ancora che la capitale venisse fissata sui bordi della Senna. Non fa parte nemmeno del susseguirsi prestigioso dei castelli della Loira, Blois, Amboise, Chambord che ospitarono la monarchia francese fra fine Medio Evo e Rinascimento, ma non oltre. Sta a sé nel Gâtinais e nella foresta di Bière a cui ha poi dato il suo nome, e per arrivarci da Parigi devi fare un viaggio, mentre recarsi a Versailles era una scampagnata. La sua storia comincia prima del Louvre e prosegue dopo Versailles e ogni epoca vi ha lasciato un segno: il Medio Evo rimanda alla Cour Ovale e alla torre del Donjon, il Rinascimento ai primi tentativi di Francesco I e alle ultime architetture dei Valois. L'età classica traccia i confini finali del suo parco e dà al castello le sue dimensioni definitive. Gli arredi interni, mobili, arazzi, dipinti, comprendono i fasti del Primo e del Secondo Impero. È qui che Francesco I accoglie Carlo V di Spagna, che Luigi XIII è battezzato, che Luigi XIV revoca l'editto di Nantes, che Luigi XV sposa Marie Leszczynska.. Di Napoleone abbiamo già detto, ma c'è anche un dopo Napoleone I: a Luigi Filippo si deve la Galerie des Assiettes, a Napoleone III uno straordinario teatro, nonché il cosiddetto Musée Chinois...

Tornando da dove siamo partiti, il 300esimo anniversario delle nozze di Luigi XV e "l'arte di vivere" della sua corte, che inaugurano la stagione autunnale di Fontainebleau, vale la pena di aggiungere che per capire questo monarca bisogna fare riferimento ai dipinti di Oudry e di Jean-François de Troy, tutti d'argomento venatorio: cani, lupi, cinghiali. Sono i Dejeuner de chasse che tengono banco e Luigi XV ama farsi ritrarre nelle vesti più o meno mitologiche di Grand Veneur, il Grande Cacciatore per eccellenza. L'anno del suo matrimonio non rinuncerà a coniare una medaglia con la sua effige da un lato, un trofeo di caccia dall'altro e sotto l'iscrizione Et habet sua castra Diana, "Anche Diana ha i suoi accampamenti", assimilando così la caccia alla guerra...

Il matrimonio fu per ragioni di Stato. Luigi XV aveva 15 anni e un tutore, il duca di Borbone. In caso di morte precoce, la corona sarebbe andata a Luigi d'Orléans, il figlio di Philippe d'Orléans, il reggente che, Luigi XV ancora bambino, aveva governato la Francia per otto anni. Detto in altri termini, il duca di Borbone si sarebbe ritrovato disoccupato e per mantenere il suo ruolo aveva bisogno che Luigi XV lasciasse una discendenza dietro di sé. La scelta cadde sulla principessa di Polonia, più anziana di sette anni e figlia di un re in esilio. La cerimonia fu sontuosissima anche per mettere a tacere le voci di chi non trovava la nobiltà della sposa all'altezza di quella dello sposo.

Gagliardo e nel fiore dell'età, la prima notte di nozze Luigi XV diede a Marie "sette prove di tenerezza" e così per le notti a seguire. La regina rimase incinta però solo quattro anni dopo. Nel frattempo, il duca di Borbone perse comunque il posto.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica