Delitto di Garlasco, quattro capelli nel lavabo: cosa rivelano

Si torna su un indizio che è stato determinante per la condanna di Alberto Stasi: i capelli trovati nel lavandino della casa di Chara Poggi

Delitto di Garlasco, quattro capelli nel lavabo: cosa rivelano
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Che Alberto Stasi sia stato condannato per il delitto di Garlasco a seguito di un processo indiziario è un’informazione data ormai per scontata. L’uomo, oggi 42 anni, era infatti stato assolto inizialmente in primo e secondo grado. Ma la novità è che quegli indizi che avrebbero portato in aula alla sua condanna, potrebbero venir meno uno per uno. A cominciare da quattro capelli.

Il nodo dei capelli

Come riporta Repubblica c’è un dietrofront clamoroso sulle certezze relative a quattro capelli repertati sul lavabo della villetta di Garlasco. Essendo lunghi e neri erano stati attribuiti inizialmente alla stessa vittima di quel 13 agosto 2007, la fidanzata di Stasi Chiara Poggi, sebbene quei capelli, senza bulbo, erano però inutilizzabili per gli accertamenti genetici. Inoltre era stato supposto che Stasi, dopo aver ucciso, si sarebbe lavato le mani. Ora gli inquirenti tornano sui propri passi: se c’erano dei capelli nel lavandino, com’è possibile supporre che Stasi si sia lavato le mani e al tempo stesso i capelli non siano scivolati nello scarico?

Il lavandino non è mai stato lavato dalla presenza di sangue”, scrivono infatti i carabinieri del nucleo investigativo di Milano. A testimoniarlo proprio la presenza di quei capelli, poiché “in caso di risciacquo i capelli sarebbero stati portati via dall’acqua”. Si tratta di un dettaglio importante, poiché in sede di appello bis, venne stabilito che “l’assassino aveva le mani imbrattate di sangue e che si è recato in bagno per lavarsi”. Se si dovesse proseguire su questa linea, uno degli indizi a carico di Stasi potrebbe appunto cadere, sollevando ancora una volta dubbi sulla sua condanna.

Le ricerche sul computer della vittima

Nella puntata di ieri di “Chi l’ha visto?” intanto è stato reso noto il contenuto di una penna Usb in cui Chiara Poggi salvava le sue ricerche su internet. Contiene diversi articoli e approfondimenti sui temi della pedofilia, in particolare nella Chiesa statunitense.

Proprio in quegli anni Garlasco era stata interessata da due indagini che avrebbero potuto essere connesse a casi di pedofilia. Il primo caso è del 2006: a casa di un uomo erano stati trovati scatti e filmati con bambini, oltre a un'attrezzatura tecnologica foto-video che l'indagato stesso forse non avrebbe potuto permettersi. Più tardi, nel 2012 un bambino era stato condotto in pronto soccorso a causa di un mal di stomaco da un egiziano che non era suo padre: dopo una perquisizione a casa dell’egiziano, erano stati trovati 15 minori soli che l’uomo ospitava. Le indagini dissero che i bambini, tutti sotto i 14 anni, erano scappati da Lampedusa e prelevati alla stazione di Milano per essere condotti alle Bozzole. L’egiziano riceveva 15 euro a testa da ognuno per ospitarli, tanto che è stato condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ci si chiede però come dei minori migranti fossero in possesso di quelle, seppur piccole, cifre.

Inoltre in data 26 luglio e 1 agosto 2007, Chiara Poggi ha visualizzato delle immagini sul suo computer: erano foto del santuario della Madonna della Bozzola, anni dopo al centro di un ricatto sessuale.

Proprio a “Chi l’ha visto?” uno degli estorsori condannati, un rumeno oggi latitante, aveva affermato la scorsa settimana che Chiara Poggi avesse scoperto qualcosa di compromettente e quindi qualcuno l’avrebbe ucciso per questo.

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