
Il caso di Garlasco gira quasi interamente sull'impronta 33 in questo momento. L'impronta palmare che è stata repertata sul muro delle scale che conducono alla taverna, dove è stato trovato il cadavere di Chiara Poggi, sarebbe riconducibile ad Andrea Sempio, unico indagato nella riapertura delle indagini da parte della Procura di Pavia: i periti hanno trovato 15 minuzie corrispondenti ma non sono attualmente evidenti tracce ematiche. L'unica comparazione effettuata finora è stata con la fotografia scattata durante il repertamento, quando già l'impronta latente era stata evidenziata con la ninidrina. Ma questo reagente assume una colorazione rosso-violacea quando si lega con gli amminoacidi del sudore, mascherando le eventuali tracce rosse di sangue. Ora è iniziata la corsa contro il tempo per ritrovare quel reperto e avere modo di analizzarlo direttamente da parte dei periti in vista dell'incidente probatorio di giugno.
Attualmente, quel pezzo di intonaco con sopra l'impronta non si trova: l'ipotesi che possa essere stato distrutto è radicata, visto che esiste già un colpevole con sentenza passata in giudicato, Alberto Stasi. La procura di Pavia non ha perso la speranza di poter recuperare quel reperto, perché pare che dai verbali di smaltimento non risulti che quello sia stato distrutto. Il quotidiano La Repubblica riporta uno stralcio del verbale delle operazioni tecniche del 4 settembre 2007 in cui "si dà atto che la conservazione dei reperti è buona e non sono quindi suscettibili a degradazione naturale". Pertanto, si legge ancora, i tecnici hanno concordato sulla "non rinunciabile distruzione del campione, ovvero la conservazione di quota parte del substrato merceologico". Quindi il reperto potrebbe essere ancora lì, anche se non è chiaro dove. La Corte d'assise d'appello di Milano, con due sentenze del settembre 2021 e del febbraio 2022, ha disposto la vendita o distruzione dei reperti se privi di "valore economico". È vero che nell'elenco dei corpi di reato allegato alle sentenze non compare mai l'impronta "33" ma tre anni fa il collegio ha ordinato la distruzione o la vendita di tutti i "beni in sequestro" anche se "non contenuti" nell'elenco corpi di reato. La procura di Pavia. "L'ufficio sta procedendo a ulteriori investigazioni sul punto", dice la Procura.
Di diverso avviso sulla effettiva utilizzabilità, rispetto alla difesa di Stasi, è il consulente della famiglia Poggi, il genetista Marzio Capra, che all'Adnkronos ha dichiarato che "Sui para-adesivi c'è un forte rischio contaminazione, l'ipotesi è che non avendo utilizzato pennelli singoli per evidenziare ciascuna traccia, non si può escludere che ci sia stato un 'trasferimento' di materiale pennellando da una all'altra".
Per tale ragione Capra sostiene sia particolarmente difficile ottenere ulteriori risultati dall'impronta 33: "L'intonaco grattato dalla traccia 33 è andato interamente consumato nel tentativo di trovare del Dna che comunque non sarebbe stato databile". Capra è uno dei periti che ha partecipato all'indagine fin dalle sue prime battute.