Si estingue il reato di revenge porn per Leonardo Apache La Russa (nella foto), filgio del presidente del Senato. Lo ha deciso ieri il gup di Milano, Maria Beatrice Parati, che ha dichiarato congrua la cifra di 25mila euro come risarcimento alla parte offesa. Questo anche se la ragazza che lo ha denunciato (pure per violenza sessuale: inchiesta archiviata) non ha accettato l'offerta. «Sono contenta, è stato riconosciuto il fatto e il reato e sicuramente impugnerò il provvedimento sulla congruità», ha detto lei. La giovane, assistita dall'avvocato Stefano Benvenuto, non incasserà l'assegno né rimetterà la querela.
I legali di La Russa, avvocati Vinicio Nardo e Adriano Bazzoni, sottolineano: «Al termine di un percorso durato due anni non scevro di sofferenze e di malevole interpretazioni, la decisione presa dal gup di Milano di non procedere per il reato di revenge porn nei confronti di Leonardo La Russa riconosce la sua narrazione dei fatti sulla consensualità e l'assenza di volontà offensiva, ci conforta e conclude un percorso di giustizia sostanziale nel quale abbiamo sempre creduto». Lo stesso gup ha condannato a un anno (pena sospesa) l'amico dj di La Russa, Tommaso Gilardoni, anche lui imputato per diffusione di immagini private senza il consenso della giovane per un altro video di quella notte, tra il 18 e il 19 maggio 2023. Gilardoni, difeso dagli avvocati Luigi Stortoni e Alessio Lanzi, aveva scelto l'abbreviato. Il giudice gli ha imposto un risarcimento da corrispondere alla vittima di 7mila euro. Il pm Rosaria Stagnaro e l'aggiunto Letizia Mannella avevano chiesto per entrambi i ragazzi, per fatti distinti, la condanna a due anni. I giudici, concludono gli avvocati Nardo e Bazzoni, hanno «inquadrato la vicenda per quello che era, una storia giovanile che ci auguriamo possa essere elaborata umanamente così come ha saputo fare Leonardo».
Lo stesso giovane ha scritto sui social: «Le persone sono arrivate a conclusioni affrettate, etichettandomi, giudicandomi, augurandomi il carcere, la morte e via dicendo, senza però avere alcuna cognizione di quanto fosse effettivamente accaduto, senza un solo elemento che dimostrasse la mia colpevolezza». In questi due anni «ho sofferto di depressione, arrivando anche a pensare al suicidio».