
La Cina sta estendendo la portata della propria Marina nel tentativo di esercitare una maggiore influenza nel Pacifico (e oltre). Le ultime manovre dimostrano come il Dragone stia testando la capacità di portaerei e navi da guerra di operare in mare aperto e in aree lontane ''da casa''. Non è un caso che di recente la Liaoning e la Shandong, ciascuna delle quali protetta da altre imbarcazioni militari, abbiano effettuato decolli e atterraggi di aerei da combattimento ed elicotteri nei mari limitrofi al Giappone. Ecco: le esercitazioni appena sintetizzate rappresentano una specie di modello di come la Cina potrebbe utilizzare una crescente flotta di portaerei per proiettare la propria potenza armata nel Pacifico, e cercare così di intimidire i vicini asiatici allineati con Washington.
L'allarme sulle portaerei cinesi
Il New York Times ha sottolineato che si è trattata della prima volta che due portaerei cinesi si sono avventurate insieme oltre la "prima catena di isole" - la barriera di isole a est della Cina che include la giapponese Okinawa, dove hanno base i Marines statunitensi, e Taiwan - e verso Guam, un hub militare statunitense. Le attività navali di Pechino in prossimità o oltre la seconda catena di isole segnalano che le forze Usa operative nelle vicinanze di Guam potrebbero essere a rischio. "Queste operazioni con portaerei sono un presagio di ciò che verrà", ha dichiarato Christopher Sharman, direttore del China Maritime Studies Institute presso l'US Naval War College.
La Cina "vuole che le sue portaerei siano in grado di operare in modo indipendente in località remote dalla Cina continentale, sia in tempo di pace che in tempo di guerra", ha aggiunto l'esperto secondo il quale questo "significa (per Pechino ndr) addestrarsi per periodi più lunghi e a distanze sempre maggiori dalle proprie coste".
Dal canto suo la Marina cinese ha spiegato che le sue due portaerei e le navi da guerra al seguito stavano esercitandosi in "operazioni congiunte e di difesa in mare aperto". Operare con velivoli da portaerei è però impegnativo e rischioso. Il motivo è presto detto: addestrandosi in acque lontane nel Pacifico, i mezzi del Dragone hanno acquisito esperienza in acque sconosciute, fornendo all'equipaggio competenze applicabili a future manovre in altre aree del mondo.
Cosa aspettarsi nel futuro
Nei prossimi anni, ha proseguito il Nyt nella sua analisi, la Cina potrebbe schierare portaerei e relative navi militari per rafforzare le proprie rivendicazioni nel Mar Cinese Meridionale o nelle controversie territoriali con la Corea del Sud o il Giappone. Ma Pechino potrebbe anche inviare portaerei in zone più remote del mondo come dimostrazione di forza per difendere i propri interessi economici e di sicurezza. Al momento il Dragone ha una sola base militare significativa all'estero, a Gibuti, ma le portaerei le offrono "la possibilità di svolgere una miriade di missioni aeree ovunque la sua marina navighi", ha affermato Timothy R. Heath , ricercatore senior presso RAND. Da questo punto di vista, le rotte più importanti sono quelle verso il Medio Oriente lungo l'Oceano Indiano.
Altri analisti ritengono che la Cina potrebbe inviare le sue portaerei nel Pacifico per respingere le forze statunitensi che dovessero dirigersi in aiuto di Taiwan, in caso di un conflitto, ma in questo caso i colossi cinesi sarebbero molto più esposti agli attacchi statunitensi. C'è poi chi ha avanzato un'altra ipotesi: Pechino potrebbe schierare le portaerei nell'ambito di uno sforzo per isolare Taipei dal resto del mondo, e cioè per effettuare un blocco attorno all'isola.
Per adesso il gigante asiatico può contare su tre portaerei, tutte alimentate a diesel e meno avanzate delle 11 a propulsione nucleare degli Usa. Entro il 2040 la Cina potrebbe però averne sei. E al momento ne starebbe costruendo una quarta.