
Dopo mesi di negoziati, il Consiglio dell’Unione europea ha approvato la tabella di marcia proposta dalla Commissione per interrompere definitivamente le importazioni di gas russo entro il 2027. Si tratta di un passaggio storico nel percorso verso l’indipendenza energetica europea, avviato con il piano RePowerEU subito dopo l’invasione dell’Ucraina. Il via libera è arrivato con due soli voti contrari, quelli di Ungheria e Slovacchia, i Paesi che più dipendono dalle forniture di Mosca e che continuano a mantenere un rapporto politico privilegiato con il Cremlino.
Il commissario europeo all’Energia, Dan Jorgensen, ha salutato la decisione come “un passo decisivo verso la sicurezza e la sovranità energetica dell’Europa”, ricordando che la mossa “non è solo economica, ma anche etica e strategica”. Il piano prevede tre fasi: dal 1 gennaio 2026 sarà vietato firmare nuovi contratti di fornitura con aziende russe, entro giugno 2026 dovranno chiudersi quelli a breve termine ancora attivi e, infine, il 31 dicembre 2027 segnerà la fine definitiva anche degli accordi a lungo termine.
La decisione giunge in un contesto di forti pressioni internazionali. Negli ultimi mesi, Donald Trump aveva più volte sollecitato i governi europei a tagliare ogni residuo legame energetico con Mosca, invitando l’Unione ad aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti. A Bruxelles, la linea ufficiale resta quella di una transizione fondata su criteri di sicurezza e sostenibilità, ma l’intreccio tra indipendenza energetica e allineamento atlantico è ormai evidente.
Le reazioni non sono state unanimi. Budapest ha definito la misura “un colpo alla sicurezza nazionale”. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha denunciato che “l’impatto reale di questo regolamento è che la nostra fornitura energetica sicura verrà distrutta. Le infrastrutture alternative non sono in grado di rifornire il Paese”. Parole che riflettono l’isolamento crescente dell’Ungheria all’interno del blocco europeo. Anche la Slovacchia ha espresso preoccupazioni simili, ma senza spingersi verso un vero e proprio scontro politico.
Sul piano economico, la dipendenza europea dal gas russo è già crollata: dal 40% delle importazioni totali nel 2021 si è passati a meno del 15% nel 2025. Tuttavia, per molti Paesi la sostituzione completa resta una sfida complessa. Le nuove infrastrutture per il GNL, gli accordi con fornitori alternativi come Norvegia, Algeria, Qatar e Stati Uniti e la crescita delle rinnovabili dovranno sostenere la domanda interna senza far impennare i costi per famiglie e imprese.
Il voto del Consiglio segna dunque un passaggio simbolico ma non ancora definitivo. La misura dovrà essere ratificata dal Parlamento europeo e tradotta in norme vincolanti nei singoli Stati membri. Dietro l’unità di facciata, restano divergenze profonde: tra chi vede nella rottura con Mosca una necessità politica e morale, e chi teme che la corsa all’indipendenza energetica finisca per accrescere le disuguaglianze interne al continente.
L’Unione europea ha imboccato una strada senza ritorno.
La vera prova sarà mantenere la coesione del blocco mentre si chiude un capitolo di settant’anni di dipendenza energetica dall’Est, e se ne apre uno nuovo, ancora tutto da scrivere, sull’autonomia energetica e geopolitica dell’Europa.