
Sono circa duecento le persone accorse nella chiesa di Santa Barnaba del quartiere Gratosoglio di Milano per dare l'addio a Cecilia De Astis, la donna di 71 anni investita e uccisa lo scorso lunedì dall'auto guidata da un 13enne, insieme al quale c'erano altri ragazzini rom come lui di età compresa tra gli 11 e i 13 anni, rubata in precedenza a dei turisti francesi.
All'interno e all'esterno dell'edificio religioso, ad accompagnare per l'ultimo saluto la bara in cui riposa il corpo della vittima, ci sono parenti, amici, conoscenti e residenti del quartiere Gratosoglio, nel quale Cecilia viveva da anni. A rappresentare il comune di Milano c'è l'assessore al Decentramento, Quartieri e Partecipazione, Servizi Civici e Generali Gaia Romani.
Poco prima della funzione religiosa, i figli e le sorelle della 71enne hanno voluto esprimere un pensiero per ricordarla. "Insieme abbiamo condiviso grandi dispiaceri ma anche momenti belli che ci aiuteranno a sopportare un dolore misto a rabbia per il fallimento del sistema e della società di cui sei stata vittima", ha dichiarato la sorella Lina. "Ciao, Cecilia, ti vogliamo bene", è riuscita semplicemente a dire tra le lacrime l'altra sorella Maria, sostenuta dall'applauso dei presenti.
"Aiutiamoci come società, come comunità. Siamo un quartiere grande", commenta invece il figlio Filippo, "Milano è una città grande, non siamo l’ultimo paese del mondo, tutti meritiamo rispetto, dignità, solidarietà. Siamo un paese forte: cerchiamo di fare valere la nostra forza" ha aggiunto l’uomo. "Le forze dell’ordine sanno fare il loro operato, bisogna che tutti noi siamo messi nelle condizioni di poter vivere serenamente senza la paura di fare una passeggiata o una piccola commissione per le strade di tutti i quartieri", aggiunge in conclusione l'uomo, "non possiamo addossare tutte le responsabilità di quello che è accaduto sulle spalle dei ragazzini".
Durante l'omelia, Don Paolo Steffano ha citato De André. "C'è speranza. E dove non la vediamo andiamo a cercarla. Dai diamanti non nasce niente. Dal letame nascono i fiori e noi qui a Gratosoglio sicuramente non abbiamo diamanti", spiega il parroco, "ma abbiamo molti fiori, non dimentichiamoli. E se non li vediamo, andiamo a cercarli. Non servono gli scatti di rabbia". "Certo, un po' di indignazione ce l'abbiamo tutti e non può non esserci", ammette il sacerdote,"ma non serve la rabbia. Sicuramente non servono i discorsi, i proclami, né tanto meno lo scaricabarile, lo scarico di responsabilità. È sempre colpa di un altro, di un'altra istituzione. Non servono neppure i documenti sulle periferie, nemmeno le encicliche sulla convivenza pacifica. Servono fatti concreti. Ecco di che cosa abbiamo bisogno".
"De André, nella canzone Don Raffaè, diceva 'prima pagina, venti notizie, ventuno ingiustizie, lo Stato che fa, si costerna, si indigna, si impegna, poi getta la spugna con gran dignità... abbiamo bisogno, riprendendo le parole del nostro arcivescovo, di uomini e donne dal fuoco dentro, concrete", spiega Don Paolo Steffano, "che abitano e vivono la nostra realtà, non che parlano. Persone che però non stanno in silenzio, che agiscono nel concreto".
"A me piace immaginare così, che Gratosoglio ha bisogno di istituzioni, di privati che investano con continuità sulla povertà educativa, sulla scuola, sulle associazioni sportive, le cooperative di quartiere e sulle parrocchie", considera in conclusione,"e tutto questo lo vorrei affidare a Cecilia. Cecilia, mi permetto di affidarti le nostre speranze".