"Cerco mio padre dal 1994": la lunga attesa di Giovanna Adinolfi, figlia del giudice scomparso nel nulla

Indagava su vicende di riciclaggio. Tra silenzi, scavi mai comunicati e sospetti ignorati, la famiglia attende ancora una verità che non è mai arrivata

"Cerco mio padre dal 1994": la lunga attesa di Giovanna Adinolfi, figlia del giudice scomparso nel nulla
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Giovanna Adinolfi è una donna tenace, caparbia, ostinata. Da più di trent’anni cerca suo padre. In questi decenni ha imparato a non permettere che il fango, le insinuazioni, i sospetti senza fondamento contaminassero l’amore per lui o la sua stessa esistenza. Ha scelto una forma rara di resistenza: quella della dolcezza, della dignità, della coerenza.

Oggi Giovanna è esattamente ciò che, ne è certa, suo padre avrebbe voluto che fosse. E questo la mantiene “in asse”, come lei stessa dice, nonostante la prova più crudele: una scomparsa senza corpo, senza tomba, senza verità. Nessun indizio, nessun processo, nessuna sentenza. Suo padre è svanito nel nulla.

Il giudice che illuminava il lato oscuro del denaro

Paolo Adinolfi era un giudice civile. Non si occupava di omicidi, narcotraffico o maxi-inchieste di mafia. Non aveva scorta. Eppure è considerato uno dei primi magistrati a toccare con mano l’area più opaca del capitalismo criminale: il riciclaggio.

Prima di lui, un altro uomo delle istituzioni, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, era stato ucciso per aver ostacolato interessi economici mafiosi e finanziari. Adinolfi appartiene idealmente a questa stessa linea: magistrati che non arrestano killer e non cercano latitanti, ma che illuminano il percorso dei soldi, riportano la legge dentro i profitti illeciti, aprono “gli armadi” dove nessuno vuole guardare.

Lui stesso lo diceva: "A Roma c’è la camorra e nessuno se ne accorge". Il suo obiettivo era chiaro: riprendere in mano tutti i fascicoli dimenticati, le storie opache, le vicende rimaste a metà. Tra queste, anche quella della Fiscom, un fallimento del 1992 che, secondo gli inquirenti, aveva contatti con ambienti criminali e con la Banda della Magliana. Ma non era l’unico dossier a cui stava lavorando. “Mio padre non lo ricordo mai in ferie”, racconta oggi Giovanna in un'intervista al Corriere della Sera.

Gli scavi sotto la Casa del Jazz

Tra i tanti dolori di questa storia, c’è anche quello degli scavi recenti sotto la Casa del Jazz, l’edificio che un tempo apparteneva a Enrico Nicoletti, figura di spicco della Banda della Magliana. Scavi avviati per cercare resti umani, tra cui, forse, quelli del giudice Adinolfi.

Ma la famiglia non è stata informata. “Lo abbiamo saputo dai giornali, anzi da amici che li avevano letti prima di noi. Nessuno ci ha avvertito”, ha raccontato Giovanna nell' intervista. Secondo un vecchio pettegolezzo giunto alla famiglia, durante una cena “una persona importante” avrebbe detto: "Paolo si sa benissimo dov’è: è sotto la casa di Enrico Nicoletti".

La madre di Giovanna presentò un esposto, venne interrogato lo stesso Nicoletti e si procedette agli scavi. Ma il terreno era troppo poroso e le ricerche furono sospese. Ancora oggi a Giovanna è rimasta impressa un’altra frase attribuita a Nicoletti, riportata da chi era presente: "Io so che lei vuole sapere dov’è Adinolfi, ma io non glielo dirò". Una provocazione? Una minaccia? O una verità detta a metà? Impossibile saperlo.

Il peso dei sospetti

Come se non bastasse, all’inizio della scomparsa qualcuno tentò persino di infangare il giudice. Giovanna ricorda una frase che la sua famiglia non potrà mai dimenticare: in questura, qualcuno disse che “forse era scappato con una ballerina brasiliana”. Un’ipotesi surreale, offensiva, che rivelava la difficoltà, o la volontà, di non guardare nella direzione più scomoda: quella dei soldi sporchi, dei legami criminali, degli interessi sotterranei. Ancora oggi, incredibilmente, Paolo Adinolfi non è ufficialmente considerato vittima di mafia.

La ricerca che non si ferma

Giovanna non sa cosa sia accaduto a suo padre, ma una certezza ce l’ha: non smetterà mai di cercarlo. Ogni indizio, ogni pista, ogni testimonianza è per lei un frammento possibile di verità. Immaginare di non avere una tomba su cui piangere, un luogo dove portare un fiore, un punto da cui cominciare il lutto, significa vivere sospesi. Significa affrontare una perdita che non diventa mai reale, che non si può elaborare.

Eppure Giovanna continua. Con la stessa dolcezza e la stessa forza che suo padre le ha insegnato. Con la stessa ostinazione con cui lui cercava la verità negli “armadi” pieni di polvere e silenzi.

Una storia che chiede risposte

La scomparsa di Paolo Adinolfi continua a essere una ferita aperta non solo per la sua famiglia, ma per la giustizia italiana.

È la storia di un magistrato che probabilmente ha toccato fili troppo scoperti, di un uomo lasciato solo, di istituzioni che non hanno voluto, o saputo, vedere.

È anche la storia di una figlia che, dal 1994, vive tra speranza e dolore, tra amore e assenza. Una storia che, dopo oltre trent’anni, chiede ancora una sola cosa: verità.

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