Scena del crimine

Segregata, torturata, uccisa. "Su Marzia Capezzuti violenza primitiva: ecco cosa è successo"

Marzia Capezzuti è stata uccisa a marzo 2022. Il presidente dell'associazione Penelope Nicodemo Gentile: "È stata ridotta in una situazione che lascia attoniti"

Screen "Chi l'ha visto?"
Screen "Chi l'ha visto?"

Partirà il 15 dicembre 2023 il processo per uno degli indagati per l’omicidio di Marzia Capezzuti. La 39enne milanese scomparve da Pontecagnano Faiano a marzo 2022 - dove viveva con la famiglia dell’ex compagno morto nel 2019 - e il corpo della donna fu ritrovato nell’ottobre successivo in un casolare di Montecorvino Pugliano.

Per violenze fisiche e psicologiche, furto aggravato e omicidio, sono stati indagati la sorella del defunto compagno di Capezzuti Barbara Vacchiano, il compagno Damiano Noschese, il figlio 15enne della coppia (unico rinviato a giudizio per il momento, in un tribunale per minorenni), il figlio maggiorenne Vito Vacchiano e due conoscenti che, stando alla documentazione, si sarebbero trovati in casa di questa famiglia la sera dell’omicidio.

È stata fondamentale per la formulazione delle accuse la testimonianza di Annamaria Vacchiano, figlia di Barbara, che però in incidente probatorio si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Di lei resta però un’intervista scioccante rilasciata a “Chi l’ha visto?”, in cui la giovane ha raccontato cosa sarebbe accaduto a Marzia Capezzuti. “Il suo contributo è stato importante”, spiega a IlGiornale.it Nicodemo Gentile, avvocato e presidente dell’associazione Penelope.

Quando ha influito, a suo avviso, l’attenzione mediatica su questa storia - sollevata in particolare da “Chi l’ha visto?” - affinché si giungesse al ritrovamento del corpo?

“Ha stimolato, da buon alleato, tutta una serie di testimonianze, di ricordi, da parte di soggetti che hanno reso dichiarazioni. Queste hanno contribuito, integrato, supportato e riscontrato tutta una serie di spunti investigativi, che ormai gli inquirenti stavano sviluppando. Quindi sicuramente, come in altre occasioni, anche nel caso di Marzia c’è stato uno sviluppo, anche se purtroppo il ritrovamento non è avvenuto in vita. La stessa ordinanza di custodia in carcere per gli attuali indagati dà atto di questa situazione".

Come giudica la presa di posizione di Annamaria Vacchiano?

“Sicuramente il contributo di questa ragazza, che ha vissuto un percorso estremamente tormentato - non è facile accusare i propri famigliari per reati come maltrattamenti, sevizie, torture e quant’altro - è un dato importante che abbiamo salutato con favore. Ci dispiace però che la stessa Annamaria, in sede di incidente probatorio, si è avvalsa della facoltà di non rispondere, riconosciuta dall’ordinamento e quindi legittima”.

Perché?

“Sentire dalla viva voce, in contraddittorio, in un momento anticipato della prova, quelle parole sarebbe stato ulteriormente importante”.

Ci sono state diverse segnalazioni sul modo in cui Capezzuti veniva maltrattata. Si poteva fare qualcosa per tempo?

“È evidente ed è anche un aspetto che impone delle riflessioni, non solo per quanto riguarda la responsabilità di eventuali soggetti che pur sapendo non si sono attivati, ma anche dal punto di vista del senso di civiltà, del senso di pietà, in una vicenda così drammatica. Sicuramente noi abbiamo contezza di una pluralità di segnalazioni, di una pluralità di soggetti che nel tempo avevano percepito, visto, acquisito informazioni dirette o indirette di questa grave, gravissima violenza, queste sevizie, questi ripetuti maltrattamenti. Cui è seguita addirittura, stando all’ipotesi accusatoria, la tortura fino ad arrivare all’omicidio di una giovane affetta da una serie di fragilità, di problematiche di natura anche emotiva, per essere sfruttata dal punto di vista economico in ragione della pensione che lei percepiva in relazione alle sue difficoltà psicologiche. Marzia è stata ridotta in una situazione che lascia attoniti”.

Può essere più preciso?

“Vengono in mente da alcune foto di Marzia, da alcuni racconti fatti dai soggetti, famigliari e non, che frequentavano quella casa, un’immagine che ritenevamo ormai lontana nel tempo, quella di una donna consumata dalle angherie, dalle sevizie fisiche e psicologiche. Tant’è che si parla di una violenza primitiva, animalesca, consumata su una persona che non è riuscita a reagire, a scappare, a difendersi”.

Quali sono gli strumenti che la legge ci offre oggi per prevenire casi come questo?

“La prevenzione, in questi casi, è regolata dalla legge che impone, qualora ci sia l’acquisizione in via diretta o indiretta di notizia di reato, un tempestivo svolgimento di attività che portano a interrompere il ciclo del reato stesso. La tempestività dell’intervento, la profondità e la completezza - cosa che in questo caso non c’è stata, perché si è partiti con un po’ di lentezza - sono importanti”.

Ovvero?

“Quando vengono acquisite qualificate segnalazioni o denunce bisogna subito intervenire, senza perdere ulteriore tempo, in modo profondo, completo, senza lasciare niente al caso.

Purtroppo per un periodo c’era gente che sapeva, la risposta è stata un po’ impacciata, timida, incompleta e quindi questo ha fatto sì che il silenzio sia stato un alleato di chi stava perpetrando questi gravissimi reati”.

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