
C'è chi ironicamente ha definito il fagiolo europeo di Giorgia Meloni e il tappo al collo delle bottiglie di plastica di Roberta Metsola, i momenti «più alti» dell'annuale assemblea di Confindustria svoltasi ieri a Bologna. Ironia sciocca, perché in quelle due battute, che insieme a una miriade di altre geniali idee partorite dagli euroburocrati di Bruxelles sono il portato legislativo di una stagione che vorremmo poter dimenticare, c'è il paradosso contro il quale il presidente della Confindustria, Emanuele Orsini, si è scagliato con parole nette, sostenuto da una premier che non ha mancato di ricordare quanti auto-dazi dovremmo rimuovere prima di pensare alle nuove tariffe targate Usa. Ma ciò che in particolare ha colpito è la veemenza con la quale la presidente del Parlamento europeo, in perfetto italiano, ha stigmatizzato le politiche perseguite dalla precedente Commissione, dichiarandosi pronta ad affiancare l'Italia nell'opera di riequilibrio legislativo nell'Unione. Del resto, l'aver anteposto l'ideologia al realismo e alla neutralità tecnologica, con tempi e obiettivi ambientali assurdi, sta presentando un conto salatissimo a famiglie e imprese. Per non dire del maggior costo che in particolare l'Italia subisce sul fronte dell'energia, la più cara in assoluto in Europa che non solo pesa sulle bollette domestiche, ma mette a rischio una voce fondamentale del nostro Pil: per vincere nella gara dell'export non basta sfornare le eccellenze che molti ci invidiano, se poi il prezzo per acquistarle non è concorrenziale per i costi di produzione più elevati. E qui le cause non sono solo le becere norme europee, ma anche scelte assai poco meditate da parte di un mondo politico italiano privo di visione, se non peggio, anche quando le soluzioni sarebbero alla portata.
È in questo clima che ieri Orsini ha calato dal palco una doppia sfida, all'Europa e al governo: a) un Piano Industriale Straordinario Europeo con l'istituzione di un nuovo New Generation EU e un mercato dei capitali unico e realmente integrato con barriere interne fortemente ridotte; b) un Piano Straordinario Industriale tutto italiano. Ma se sulla sfida europea nutriamo dubbi che sia di facile realizzazione, nonostante l'ottimismo professato dalla presidente Metsola, probabilmente il progetto per l'Italia ha maggiori possibilità di vedere la luce. Anzitutto perché la premier Meloni si è dichiarata subito aperta ad affrontare insieme il progetto, mettendo sul tavolo fino a 15 miliardi ricavati dalla revisione del Pnrr. In secondo luogo per la determinazione con la quale il presidente di Confindustria ha delineato motivi, rimedi e obiettivi in un percorso tanto dettagliato che basterebbe tradurlo in legge tout court. Del resto, a fronte di un export Made in Italy che potrebbe in breve centrare l'obiettivo di 700 miliardi, un sostegno agli investimenti di 24 miliardi in tre anni insieme a un'Ires premiale potenziata, non rappresentano un costo ma il più tradizionale e fruttuoso degli investimenti. E si tratta di decisioni che richiedono poco tempo e che non debbono necessariamente attendere la nuova Legge di Bilancio.
Orsini ci avverte che dopo oltre due anni di calo della produzione industriale, di fronte alla potenziale caduta della domanda americana e quindi globale, e a una possibile crisi finanziaria qualora i balletti sui dazi dovessero continuare per mesi, senza interventi rapidi la tenuta delle imprese italiane è a rischio. Esagera? Ieri non ne aveva l'aria.