Coronavirus

Cosa è successo a Codogno? Così è partito il contagio

I contatti del paziente 1 in ospedale, prima che venisse messo in quarantena, 36 ore dopo. Ma il protocollo è stato seguito. Il sindaco: "Ai medici è venuto il dubbio che potessere essere coronavirus nonostante non avesse avuto contatti con la Cina. Dovrebbero dirgli 'bravi'"

Cosa è successo a Codogno? Così è partito il contagio

A Codogno tutto sarebbe partito dal 38enne di Castiglione d'Adda, che il 20 febbraio era risultato positivo al nuovo coronavirus. L'uomo si era recato in ospedale quattro giorni prima, con febbre alta, e vi era tornato alle 3 di notte del 19 febbraio, a causa di una crisi respiratoria. E il test per accertare se si trattasse o meno del Covid-19 sarebbe stato fatto solo nel pomeriggio del 20 febbraio, un giorno e mezzo dopo il ricovero: tempo durante il quale il paziente è entrato in contatto con medici, infermieri, parenti e altri pazienti.

Nei giorni scorsi, il premier Giuseppe Conte aveva puntato il dito proprio contro la procedura seguita in ospedale, pur senza mai nominare direttamente Codogno. "Una gestione non del tutto propria in ospedale ha contribuito alla diffusione del virus", aveva detto il presidente del Consiglio, accusando indirettamente il personale medico, che non avrebbe seguito i protocolli, contribuendo ad alimentare il focolaio di coronavirus.

Il via vai in ospedale avrebbe "fatto da cassa di risonanza", favorendo la moltiplicazione del virus, secondo quanto aveva sottolineato l'esperto Massimo Andreoni, sulla scia di quanto dichiarato dal primario del reparto di Malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli: "Da noi si è verificata la situazione più sfortunata possibile, cioè l'innescarsi di un'epidemia nel contesto di un ospedale", che si è trasformato "in uno spaventoso amplificatore del contagio", aveva detto. Ma la colpa non è da attribuirsi a un mancato rispetto dei protocolli.

Infatti, le linee guida del Ministero della Salute del 27 gennaio prevedono controlli solamente per chi ha legami con la Cina, nonostante in quelle del 22 gennaio si leggesse la necessità di trattare come sospetta anche "una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato". E un 38enne sportivo e in salute che accusa una crisi respiratoria rappresenta un decorso insolito. Ma quella frase era stata cancellata. A spiegarlo è stato anche il sindaco: "Il protocollo del Ministero consentiva al personale medico di fare il tampone del coronavirus se il paziente ha avuto contatti o è stato in un territorio cinese a rischio. I medici hanno 'beccato' il cosiddetto 'paziente 1' proprio perché gli è venuto il dubbio che potessere essere coronavirus nonostante non avesse avuto contatti con la Cina: dovrebbero dirgli 'bravi'".

Mattia è rimasto in ospedale 36 ore, senza che venissero prese precauzioni specifiche contro il coronavirus. Questo avrebbe contribuito alla diffusione del Covid-19, passato a parenti e amici andati a trocarlo, così come a medici e infermieri. Poi, secondo quanto riporta il Corriere della Sera, una volta diagnosticato il coronavirus, il paziente 1 sarebbe stato spostato in Rianimazione, dove avrebbe contagiato i due anestesisti, nonostante le protezioni prese da protocollo. A quel punto, la decisione di chiudere l'ospedale, per poi cambiare idea e lasciare andare a casa medici e infermieri del turno di notte. Il quotidiano avrebbe ricostruito il tutto visionando le chat dei familiari del personale sanitario che, più tardi, sarebbero stati richiamati in servizio, quando erano arrivati al lavoro anche i colleghi.

Poi, la mattina, il pronto soccorso e l'ospedale vengono chiusi definitivamente.

Commenti