
Con l'ennesimo colpo di mano in Consiglio dei ministri, il legislatore italiano si appresta ad approvare il decreto attuativo della cosiddetta Legge Capitali che, tra le altre misure, abolisce l'obbligo per le società quotate di pubblicare le informazioni regolamentate sulla stampa quotidiana nazionale. Il pretesto? La riduzione dei costi per le società che varano operazioni straordinarie e un presunto allineamento alla disciplina europea ritenuta meno "stringente". La realtà? L'ennesimo favore a pochi, pagato dalla collettività degli investitori e affossato nel nome di una falsa modernità digitale. Cominciamo col dire che la carta stampata è un diritto, e dunque l'azionista di una società quotata non è obbligato a usare il web e che è compito del legislatore tutelare tutte le fasce di investitori, non solo quelle digitalizzate. Dobbiamo inoltre ricordare che l'informazione cartacea è un presidio democratico, perché garantisce accesso universale, stabile, permanente. Chi non ha dimestichezza con l'informatica o semplicemente preferisce un supporto fisico, ha pieno diritto a ricevere notizie finanziarie certe, tracciabili e immodificabili. Sradicare questo diritto è un sopruso.
In secondo luogo, la carta non si può manomettere. Il web sì. Un giornale in edicola non si modifica. Un Pdf online sì, eccome. Pensare che basti un link o un sito istituzionale per garantire lo stesso livello di trasparenza e affidabilità è un insulto all'intelligenza. L'informazione online è per definizione volatile: cambia, si sposta, sparisce. La certezza dell'informazione è una questione di forma e di sostanza, e cancellare la pubblicazione cartacea significa minare questa certezza alla radice.
E poi i costi, una scusa ipocrita. Il prezzo per la pubblicazione cartacea sono irrisori rispetto ai valori in gioco nelle operazioni societarie. Il vero salasso, quello taciuto con comoda omertà, sono le parcelle esorbitanti dei consulenti e degli studi legali che redigono documentazioni chilometriche (persino del tutto inutili) per le società. Su quelli nessuno osa mettere un tetto. Lì, il legislatore tace. Anzi, spalanca le porte.
Quanto all'Europa, in realtà non obbliga nessuno a fare peggio. La direttiva Ue è più permissiva? Bene, ma non impone di essere più opachi. Francia docet: oltralpe è tuttora in vigore l'obbligo cartaceo soprattutto per i giornali locali. Solo in Italia, come al solito, si scambia la sovranità normativa per servilismo, distorcendo le norme comunitarie in senso regressivo. La stessa logica ha generato mostri come l'attuazione della Legge 231: una versione esasperata e maldestra delle regole europee, consegnata a una magistratura cui è stata affidata una discrezionalità inquietante. Il risultato? Un sistema penalizzante e inefficace, che danneggia proprio le imprese che si vorrebbero aiutare.
In conclusione, questo decreto se mai vedrà l'approvazione è un favore mascherato. Un colpo basso alla trasparenza, all'investitore, al mercato. L'abolizione dell'obbligo cartaceo non è progresso: è retroguardia culturale.
È l'ennesimo episodio in cui il legislatore italiano si piega agli interessi forti, affossando i principi di certezza, equità e parità di accesso all'informazione. Chi ha scritto questa norma dovrebbe vergognarsi. E chi la approva, anche.