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Euroalleato cercasi

Ormai è una vecchia abitudine a cui molti hanno fatto il callo. Si tratti dei distinguo di un commissario o della tiratina d'orecchie poi smentita di un funzionario di Bruxelles

Euroalleato cercasi

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Ormai è una vecchia abitudine a cui molti hanno fatto il callo. Si tratti dei distinguo di un commissario o della tiratina d'orecchie poi smentita di un funzionario di Bruxelles, sta di fatto che, per citare Giorgia Meloni, ogni giorno ce n'è una. Che si parli di ritardi sul Pnrr, di critiche ingenerose sull'immigrazione, o, ancora, di una frase di solidarietà verso la Corte dei Conti a cui l'esecutivo ha solo chiesto di esercitare la funzione di controllo ad opere fatte e non in fase di progettazione, le polemiche con la Commissione e le burocrazie europee sono una costante. Un'abitudine che non riguarda solo il governo Meloni ma, a parte Draghi che aveva le sue entrature a Bruxelles, molti di quelli che lo hanno preceduto. Ad esempio Berlusconi e in parte Renzi, quando ha rotto il cordone ombelicale con la sinistra, ne hanno viste di tutti i colori. Per cui il poter contare su un vero alleato sull'asse Bruxelles (Commissione Ue)-Strasburgo (Parlamento Europeo) è diventato da noi il sogno proibito di molti premier.

Ieri, come gli capita spesso, il Cavaliere nell'intervista a questo Giornale è arrivato al punto. L'analisi è quantomai fondata: le maggioranze con tutti dentro, dai socialisti ai popolari, quelle che garantivano una certa neutralità (meglio dire una supposta neutralità) delle istituzioni dell'Unione, hanno fatto il loro tempo da quando «l'Europa ha acquisito una soggettività politica autonoma ed è diventato sempre più importante che la sua guida assuma una connotazione politica chiara». Il corollario di questo ragionamento è che ogni governo, e conseguente maggioranza, non può che aspirare ad avere a Bruxelles una Commissione, e a Strasburgo un'alleanza parlamentare, che gli sia affine, che abbia cioè una visione economica, sociale, culturale simile alla sua, visti i condizionamenti sempre maggiori a cui la Ue sottopone le politiche di ogni Stato nazionale. È il motivo per cui Berlusconi auspica che dopo le elezioni europee del prossimo anno si formi nella Ue una maggioranza con dentro popolari, conservatori e liberali che ricalchi il centrodestra italiano.

Il discorso non fa una piega: perché un conto è governare a Roma avendo a Bruxelles una Commissione che ha la tua stessa visione; un altro è avere un governo della Ue che ha altre sensibilità politiche e, magari, come succede oggi, ti ostacoli perché vuole che dalle urne europee esca una maggioranza in linea con quella dell'Europarlamento attuale. Un comportamento che dietro la retorica della neutralità nasconde una «ratio» politica di cui, di fatto, non c'è da scandalizzarsi, perché più il processo di unificazione andrà avanti, più l'Europa avrà voce in capitolo nelle politiche degli Stati membri, e più la Ue subirà un processo di politicizzazione, in poche parole sarà governata a seconda degli equilibri elettorali del continente da maggioranze diverse che faranno politiche diverse. Come succede negli Stati Uniti.

In fondo, al di là dei dubbi che qualcuno può avere, è un segno di maturità delle istituzioni dell'Unione, perché nessuna decisione, scelta politica è neutra.

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