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L'unica strada per l'Europa

Quello che può fare l'Europa è mantenere una dignità e cercare di entrare nella psicologia di Trump, che volenti o nolenti oggi è l'America, e provare a smussarne gli spigoli per far valere le proprie ragioni

L'unica strada per l'Europa
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Questa diffusa narrazione di un'Italia meloniana genuflessa alle voglie dell'America trumpiana rischia di diventare stucchevole anche per chi continua a propalarla. Ieri, durante il vertice di Ginevra sulla guerra in Ucraina, di nuovo si è levato il coro di chi rimprovera alla premier di essere "asservita" a Washington, solo per aver sostenuto che, di fronte al piano statunitense, sarebbe stato più utile cercare di convincere il presidente Usa a modificarlo in direzione pro-Kiev, piuttosto che rigettarlo in toto proponendone uno alternativo. Al netto del fatto che l'apertura della Casa Bianca in questo senso pare confermare l'efficacia di questo approccio da realpolitik, vale la pena smontare una volta per tutte l'illusione per la quale l'Italia potrebbe permettersi di rompere con gli Stati Uniti solo perché Trump è un bullo anti-europeo, cosa che è a tutti gli effetti, e pure orgogliosamente. La questione è semplice, e ha a che fare col fatto che l'Europa è una provincia dell'impero a stelle e strisce. Non da oggi, non per colpa di Meloni: lo è dal 1945 e ha deciso di rimanerlo negli ultimi trent'anni, quando ha demandato agli yankee il ruolo di "poliziotto del mondo", senza sporcarsi le mani, senza spendere granché e concentrandosi su battaglie come il welfare o la lotta alle emissioni di CO2. Leggere certe analisi che invitano la Ue a "fare da sola", ascoltare Schlein e Conte che spronano Meloni ad "alzare la testa e ribellarsi" fa sorgere una legittima domanda: per fare cosa? Con che risorse, armate, budget, con quale legittimazione popolare ad andare a morire in guerra? Al momento esistono al mondo due imperi, America e Cina. Gli altri sono vassalli, Russia compresa. Quello che può fare l'Europa è mantenere una dignità e cercare di entrare nella psicologia di Trump, che volenti o nolenti oggi è l'America, e provare a smussarne gli spigoli per far valere le proprie ragioni, a costo di lisciarne controvoglia il pelo aranciato, nonostante la sensazione che stia tradendo l'Occidente. Non esiste garanzia di successo, ma è l'unica via percorribile. Un approccio condiviso anche dagli altri leader, dal tedesco Merz al laburista Starmer, che ha ottenuto condizioni commerciali privilegiate, fino appunto a Meloni (Macron a parole brandisce la grandeur come una clava e si illude di poter trattare alla pari con Donald, poi si piega anche lui senza strappi). I dazi non hanno insegnato niente: sarebbe troppo facile mettere in fila gli attacchi di quanti - rigorosamente privi di responsabilità di governo - si sono accalcati come "umarell" alle recinzioni dei cantieri per dire che no, era tutto sbagliato, bisognava sfidare Washington coi controdazi, rompere, ribellarsi al bifolco arrogante che al tradizionale "soft power" preferisce la prepotenza in ogni questione. Risultato: Trump è sceso a più miti consigli e l'export italiano ha addirittura fatto segnare un +34% verso gli Usa a settembre. Viceversa, sarebbe stata un'ecatombe tariffaria. La verità è che - ad eccezione dei trumpiani, che comunque esistono - Trump piace solo a quell'America che, meno ricca, più sofferente e rancorosa, ha deciso che non ha più intenzione di dare il sangue per le province.

Ma Trump abita legittimamente alla Casa Bianca e proprio nessuno può farci nulla, se non turarsi il naso e provare a scendere a patti con la sua bizzarra gestione. Anche perché, vale la pena ricordarlo, non esiste un'alternativa, se non buttarsi nelle braccia di Pechino, cosa che sia D'Alema sia Conte approverebbero. Abbastanza per capire da soli che sarebbe un suicidio.

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