
La crisi politica che sta attraversando la Francia è certamente anche il frutto degli errori di Macron. Ancor prima, di una sconsiderata riforma che, facendo coincidere il mandato del Presidente con la durata della legislatura, ha privato il sistema istituzionale di gran parte della sua originaria elasticità. La rinunzia di Lecornu segna però l'aggravarsi della crisi. Per questo, indipendentemente da ciò che accadrà nei prossimi giorni, s'impone una riflessione di fondo su aspetti meno contingenti.
La V Repubblica è il sistema che ha portato la stabilità politica oltralpe. Solo qualche anno fa veniva considerata "una splendida sessantenne". In svariate occasioni aveva aiutato il suo Paese a sormontare difficoltà sociali, politiche, internazionali. E la sua rilevanza storica ha persino oltrepassato i confini dell'esagono. Quando fu varata, segnò la riconciliazione tra le personalità forti e la democrazia. Dopo i timori indotti dall'era delle tirannie, il Generale De Gaulle venne addirittura additato come la prova vivente che carisma e sistemi democratici possono convivere. Tale acquisizione determinò il fatto che i vecchi partiti d'integrazione sociale - quelli che un tempo si sceglievano dalla culla alla bara - perdessero centralità, a favore di un rapporto più immediato tra leader ed elettorato. Non a caso, vi è chi ha sostenuto che fu proprio il passaggio dalla IV alla V Repubblica in Francia a segnare la transizione dalla "democrazia dei partiti" a quella "del pubblico". A partire da allora, d'altro canto, molti dei Paesi che nella seconda metà del secolo scorso sono fuorusciti da regimi autoritari o totalitari, hanno trovato nel semipresidenzialismo francese un modello da imitare. E anche in Italia le istituzioni della V Repubblica a lungo hanno rappresentato un luminoso oggetto del desiderio: quel che ci mancava per poter aspirare alla maturità politica e statuale.
Improvvisamente, le situazioni sembrano non solo cambiare ma addirittura capovolgersi. Le ragioni di fondo della crisi francese sono di natura sociale ed economica. Ma le istituzioni ne sono divenute un acceleratore. Invece di agevolare la soluzione, complicano le situazioni. L'impressione è che si sia creata una sfasatura tra la loro logica intrinseca e il processo politico. La V Repubblica, infatti, per dare il meglio di sé, necessita di competizioni nelle quali le forze "anti-sistema" siano fortemente minoritarie. Situazione questa che appare solo un ricordo del passato. Deve poi poter attivare dinamiche centripete, per le quali gli elettori moderati risultino infine decisivi per la vittoria finale. Oggi, di contro, i centristi al più sono un partito tra altri partiti che, nella fisiologia delle cose, è destinato a soccombere senza neppure arrivare al secondo turno. Quelle regole, poi, crearono tra leader e partito una sorta di naturale equilibrio, imponendolo persino a De Gaulle che certo non lo gradiva. Il venir meno dei partiti, ha però reso quell'equilibrio illusorio. Infine, va considerato che fino a poco tempo fa proprio la personalizzazione della contesa politica ha concesso agli elettori uno spazio inedito. Quello stesso elemento si è trasformato in un fattore di fragilizzazione del sistema. Perché, così come i droni hanno cambiato la guerra, fake news e strumenti della rivoluzione digitale stanno cambiando le regole dello scontro politico. E in alcuni casi, basta concentrarsi contro un solo obiettivo sensibile per mutare il verso di una competizione: anche in quest'ambito, la Francia della V Repubblica, purtroppo, ci è maestra.
Ve ne è, dunque, abbastanza per affermare che la crisi politica francese sta mettendo in contatto aspetti tipicamente nazionali con cambiamenti epocali.
Una buona ragione perché gli altri Paesi - Italia in testa considerino bene quanto sta avvenendo. Soprattutto se si trovano alla vigilia di una stagione di riforma delle istituzioni o anche solo della legge elettorale.Gaetano Quagliariello