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Nasce il museo per ricordare le foibe. Scriviamo una pagina di storia strappata

La vicenda delle foibe è stata per decenni una pagina di storia strappata, un buco nero nella memoria

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La vicenda delle foibe è stata per decenni una pagina di storia strappata, un buco nero nella memoria, circondato da ambiguità e omissioni, che solo negli ultimi tempi è stato faticosamente colmato. Ora, nel lungo e sofferto percorso di ricostruzione di una verità storica, che si auspica quanto più condivisa e ampia, poniamo un nuovo mattone: la realizzazione a Roma di un Museo del Ricordo che raccolga la memoria dei tragici fatti accaduti sul confine orientale italiano, tra il '43 e il '47 del secolo scorso. Grazie al Disegno di Legge approvato ieri e che reca come primo firmatario il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ci sarà un luogo della memoria che, attraverso un percorso museale, racconterà una tragedia nazionale, fatta di storie, personaggi, vicende collettive e individuali. Le foibe sono state un crimine comunista, perpetrato per volontà del Maresciallo Tito. Il progetto titino fu concepito e attuato con il metodo del terrore e della pulizia etnica. Migliaia di italiani ne furono vittime innocenti. Gli eccidi non furono crimini individuali, fatti di guerra, ma l'esito di una operazione rigorosamente pianificata, realizzata da Tito attraverso l'apparato comunista, in primis l'OZNA, la polizia politica. La pulizia etnica servì a garantire le nuove frontiere della Jugoslavia da qualsiasi rivendicazione nazionale. Gli italiani furono cacciati dall'Istria e dalla Dalmazia a ogni costo e con ogni mezzo, furono deportati in campi di prigionia e barbaramente gettati, in molti casi ancora vivi, nelle profonde gole carsiche chiamate dalle comunità veneto-giulie foibe. Al massacro seguì poi l'esodo, l'abbandono dei luoghi dove si era nati, delle proprie case e dei propri beni. Queste tragiche vicende hanno costituito una memoria proibita. Mentre l'Italia si ricostruiva su basi democratiche, superando le ferite della guerra, abiurando giustamente la dittatura fascista, tutto ciò veniva rimosso dalla coscienza italiana. Alle vittime delle foibe e dell'esodo non bisognava dare alcuno spazio pubblico, si poteva al massimo offrire qualche modesto sussidio. Il Maresciallo Tito, divenuto primo ministro e poi presidente della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, si presentava all'Occidente come un eretico della galassia comunista. Non doveva essere infastidito, ancor più dopo la rottura con Stalin nel 1948 e l'espulsione dal Cominform. Col trascorrere degli anni la tragedia fu totalmente rimossa diventando una memoria sussurrata nelle famiglie. Eppure i numeri erano lì: oltre diecimila infoibati e oltre trecentomila costretti alla fuga. La loro storia cadde nell'oblio. E la rimozione di questa tragedia fu non solo oltraggio delle genti giuliano-dalmate, ma lo fu di tutti gli italiani, della loro storia. C'è voluto il crollo del Muro di Berlino affinché un minimo di verità storica cominciasse a riemergere. Poi un lento e faticoso lavoro di ricostruzione della memoria. L'individuazione materiale delle foibe, il lavoro meritevole di alcuni storici e una sempre maggiore presa di coscienza collettiva. Celebri furono le dichiarazioni del presidente della Repubblica Cossiga quando visitò la foiba di Basovizza il 3 novembre del 1991: Avrei voluto farlo prima ma non me lo hanno permesso. Mentre fu il presidente Giorgio Napolitano, e di questo gli va dato merito, a rompere il tabù e a parlare di comunismo. Venti anni fa, primi firmatari i parlamentari Roberto Menia e Ignazio La Russa, ci fu l'approvazione della legge istitutiva del giorno del ricordo, che celebreremo tra poco, il 10 febbraio. Oggi ci sono le esemplari parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che meritano di essere considerate definitive: La legge sul «Giorno del Ricordo» ha avuto il merito di rimuovere definitivamente la cortina di indifferenza e, persino, di ostilità che, per troppi anni, ha avvolto le vicende legate alle violenze contro le popolazioni italiane vittime della repressione comunista. Questo percorso non ha evitato che tra intellettuali organici a un'ideologia sconfitta dalla storia restino ambiguità, e che ancora oggi qualcuno avanzi interpretazioni stravaganti e storiograficamente insostenibili che tendono a ridurre e a giustificare.

Tuttavia, la stragrande maggioranza degli italiani ha compreso che questa storia deve appartenere a tutti, non deve dividere, ma deve diventare, attraverso luoghi come il museo che sorgerà, una memoria comune.

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