Scena del crimine

"Luca Varani? Il male esiste..." Luci e ombre di una mattanza

A quattro anni dall'omicidio di Luca Varani restano ancora tanti irrisolti sulla vicenda. "Il male esiste", spiega lo psichiatra Alessandro Meluzzi a ilGiornale.it. "Foffo e Prato due personalità problematiche", commenta la criminologa Flaminia Bolzan

"Luca Varani? Il male esiste..."  Luci e ombre di una mattanza

Droga, coltelli, sangue. L'omicidio di Luca Varani è senz'altro uno dei delitti più cruenti che siano balzati agli orrori della cronaca nera italiana in tempi recenti. Il racconto di una mattanza spietata, eseguita da due giovani di estrazione medio-borghese Manuel Foffo e Marco Prato, ai danni del 23enne di La Storta. A quattro anni da quel tragico 5 marzo 2016, quando il corpo martoriato e senza vita di Luca fu rinvenuto all'interno di un appartamento al decimo piano di una palazzina in via Igino Giordani 2, a est della Capitale, le circostanze in cui è maturato l'assassino appaiono ancora di complessa interpretazione. Se la condanna a trent'anni per omicidio pluriaggravato comminata a Foffo segna la fine di una dolorosa vicenda giudiziaria, le pagine conclusive di questa tragedia umana sembrano destinate a una chiosa sospesa, fitta di interrogativi e riflessioni. "Qual è il movente sottendente il delitto? Quale dramma personale si cela dietro una esecuzione così efferata? Chi sono davvero gli assassini di Luca?". Si è creata una sinergia tra due personalità problematiche che, complice l'utilizzo di sostanze stupefacenti, si è tramutata in un comportamento che definire anti-sociale è poco", spiega a ilGiornale.it la criminologa Flamina Bolzan. "L'omicidio di Luca Varani è una manifestazione di satanismo inconsapevole, una forma di impazzimento a due che porta a quella che Robbe Grillet definisce 'spostamenti progressivi del piacere' introducendo forme sadiche e masochistiche di orgasmo cocainico culminanti con l'omicidio", sostiene invece lo psichiatra Alessandro Meluzzi. Ma cosa è accaduto davvero in quell'appartamento di via Iginio Giordani?

"Abbiamo ucciso un uomo"

Sono le 18.50 di sabato 5 marzo 2016, quando alla centrale operativa del comando provinciale di Roma giunge una telefonata. Un avvocato riferisce che il suo assistito sostiene di aver ucciso un uomo e che il cadavere si troverebbe in un appartamento al decimo piano del civico 2 di via Igino Giordani, al Collatino. L'informazione viene prontamente inoltrata al comando di piazza Dante, mentre una pattuglia dei carabinieri si reca sul presunto luogo del delitto per accertare la veridicità della segnalazione. Qui, all'esterno dell'abitazione, i militari trovano ad attenderli Manuel Foffo. Se ne sta rannicchiato a bordo della propria auto, visibilmente provato e in stato confusionale. Il ragazzo dichiara ai militari di aver ammazzato un giovane con la complicità di un amico e che quest'ultimo avrebbe poi espresso l'intenzione di togliersi la vita. La persona alla quale fa riferimento Foffo si chiama Marco Prato e alloggia temporaneamente in un albergo di Piazza Bologna. Così, mentre Manuel viene portato in questura, i carabinieri si precipitano presso la struttura ricettiva. Quando spalancano la porta della stanza numero 65 rinvengono, riverso sul pavimento, seminudo e privo di conoscenza, Marco Prato. Sul comò accanto al letto, vi sono dei flaconi di barbiturici e una lettera d'addio, in sottofondo suonano a ripetizione le note di "Ciao Amore Ciao" di Dalida. Soccorso in extremis dal personale del 118, Marco viene portato all'ospedale Sandro Pertini dove, grazie all'intervento tempestivo dei sanitari, riuscirà a rimettersi. Ma per lui è l'inizio della fine.

Manuel Foffo

Il ritrovamento del cadavere

Quando i carabinieri mettono piede all'interno dell'appartamento di via Igino Giordani non sanno ancora cosa li attende. La casa è stata messa a soqquadro e, sia lungo le pareti del corridoio che sulle piastrelle del bagno, i militari riscontrano la presenza di tracce ematiche. Le scie di sangue conducono verso la camera da letto: è lì che si trova il corpo della vittima. È coperto con un piumino leggero fin sopra la testa, svestito e con un coltello conficcato nel petto. "Il coltello nel petto indica il momento della rottura, dell'omicidio estremo, della penetrazione totale. Lo si fa anche nei duelli, perché il cuore racchiude il senso della vita. Non è insolita come circostanza, anzi nella cinematografia horror è una scena che si ripete spesso", spiega il professor Alessandro Meluzzi. Ma chi è il ragazzo senza vita?

Chi è Luca Varani

Mentre i Ris effettuano un sopralluogo all'interno della casa al Collatino, Manuel Foffo viene sottoposto a interrogatorio. Reo confesso dell'omicidio, eseguito in correità con Marco Prato, non riesce però a fornire informazioni utili all'identificazione della vittima. "Non lo conosco, era la prima volta che lo vedevo. Era un amico di Marco", spiega agli inquirenti. A quel punto, gli investigatori requisiscono il cellulare di Prato nel tentativo di dare un nome al ragazzo barbaramente assassinato. Attraverso le chat di WhatsApp e l'elenco dei contatti presenti sullo smartphone di Prato risalgono alla sua identità. Si tratta di Luca Varani, 23 anni, un meccanico di La Storta. Nato a Sarajevo, Luca è stato adottato da una coppia di coniugi romani, Silvana Agostini e Giuseppe Varani, quando era appena un bambino. "Luca era una persona umanamente eccezionale – racconta di lui a ilGiornale.it il professor Davide Toffoli – sempre gentile e disponibile con chiunque. Arrivava a scuola mezz'ora prima delle lezioni, con un pallone da calcio caricato nel baule della sua Micra bianca, e se ne stava a giocare per un po' nel cortile. Ci parlava sempre della sua fidanzata Marta Gaia e di suo nonno materno al quale era legatissimo. Un ragazzo semplice, alla ricerca di se stesso. La sua morte è stata una tragedia per tutti, un colpo terribile". Ma perché Luca ha messo piede all'interno dell'appartamento di via Igino Giordani?

Quel festino con droga e alcol

Tutto ha inizio il 29 febbraio. Manuel Foffo decide di organizzare un festino, a base di droga e alcol, nel suo appartamento. L'unico invitato al rave casalingo è Marco Prato al quale Manuel, attraverso uno scambio di messaggi, chiede di procurare della cocaina. I due si incontrano il giorno seguente nella casa di via Iginio Giordani. Bevono cocktail, si drogano, lo fanno per tre giorni consecutivi, senza mangiare né bere, arrivando a consumare oltre 1500 euro di stupefacente. Ma è la notte del 4 marzo che comincia la discesa all'inferno. I due decidono, in comune accordo, di andare in giro per Roma alla ricerca di una "marchetta", qualcuno che possa assecondare una perversa fantasia di violenza sessuale. "Foffo e Prato vanno in cerca di marchette per porre in essere la fantasia dello stupro, per 'fare del male a qualcuno', raccontano - spiega la criminologa Bolzan - Ma non hanno mai valutato la possibilità di dare seguito a questa fantasia fuori dalle mura domestiche. Anzi, loro vogliono qualcuno da portare a casa perché è quello il luogo in cui si sentono protetti e dove sono certi di poter realizzare il loro progetto". Dopo aver vagabondato invano per ore, rientrano nell'appartamento con ancora un ingente quantitativo di coca da consumare. Non hanno ancora abbandonato la fantasia dello stupro e, pertanto, Marco Prato decide di contattare Luca Varani. Alle ore 6.50 del 4 marzo, mentre è in viaggio sul treno regionale Viterbo-Roma Ostiense, il giovane riceve un messaggio WhatsApp in cui Prato lo invita a casa di Foffo promettendogli 150 euro cash in cambio di una prestazione. Luca, che ha bisogno di soldi, accetta l'invito. "Apri", chatta il 23enne alle ore 8.19: è il suo ultimo sms prima di varcare il portone della pallazzina di via Igino Giordani.

Due ore di torture poi le 107 coltellate

Quando Luca mette piede nell'appartamento non sa ancora cosa lo attende. Marco Prato lo accoglie, travestito da donna, con un cocktail "corretto" all'Alcover. Si tratta di una sostanza disassuefante, utile nel caso di craving da alcol, di cui fa uso terapeutico Manuel Foffo. Dopo averlo stordito con il drink, i due cominciano a dare seguito alla perversione sessuale da cui, ormai, sono ossessionati da giorni. Ma prima ancora di procedere, Luca comincia a star male. Così, si dirige verso il bagno: è in quel momento che prende forma il macabro delirio omicida. I due iniziano a colpire il giovane con coltello e martello, infieriscono su di lui a più riprese fino a renderlo inerme. Poi, si spostano in camera da letto dove si consuma una vera e propria mattanza. Luca non ha voce per gridare e chiedere aiuto, Foffo e Prato continuano a colpirlo fino a perdere il conto delle coltellate inferte. "Il corpo di Luca Varani è stato attinto con 107 colpi con due coltelli e un martello", chiarirà l'autopsia. "Su di lui è stata scaricata l'aggressività dei soggetti coinvolti, ecco perché gli sono stati inferti tutti quei colpi. Tant'è che, a un certo punto, sia Foffo che Prato provano a porre fine alla sofferenza di Luca - spiega la dottoressa Bolzan - Che si tratti di piacere nel procurare dolore possiamo ipotizzarlo. Certo è, almeno dal mio punto di vista, che singolarmente non credo sarebbero giunti mai a questo punto". Una lama conficcata al centro del petto spegnerà le ultime speranze di vita del giovane. "Il coltello conficcato nel petto indica il momento della rottura, della penetrazione totale - chiarisce lo psichiatra Meluzzi – Anche nei duelli, alla fine, il nemico viene abbattuto con una lama al petto perché il cuore racchiude il senso della vita". Il corpo senza vita di Luca è rimasto per quasi 2 giorni all'interno di quella casa. "Erano drogati all'inverosimile, sragionavano. Non si tratta di killer professionisti, quindi non avevano un repertorio. Probabilmente, non sapevano neanche loro cosa fare". Ma chi sono gli assassini di Luca?

Manuel Foffo e Marco Prato: due vite al limite

Quando Manuel Foffo e Marco Prato vengono interrogati, nelle ore e nei giorni successivi al delitto, forniscono versioni differenti sulla dinamica omicidiaria. Foffo è molto collaborativo con gli investigatori e, fin dall'inizio, ammette di aver trafitto Luca. Prato, invece, sostiene di aver solo assistito alla mattanza compiuta dall'amico dichiarando, in buona sostanza, di non aver partecipato alla terribile esecuzione. Saranno poi i rilevamenti sulla scena del crime, e i test del Dna sulle armi utilizzate, a evidenziare tracce biologiche di ambedue i soggetti coinvolti. "Ci troviamo davanti a due personalità problematiche - racconta la criminologa - Da un lato c'è Manuel Foffo, 29 anni, studente fuori corso di giurisprudenza che, formalmente collabora nell'attività di famiglia ma di fatto vuole realizzare un'app per la Federazione Italiana Gioco Calcio. Manuel è un ragazzo che nutre forti risentimenti nei confronti del padre, si sente in qualche modo compresso dalla figura paterna che reputa autoritaria. Dall'altro lato, invece, c'è Marco Prato, un ragazzo ostentatamente omosessuale che è attratto da uomini eterosessuali. Proviene da un contesto familiare di elevata estrazione culturale, si è laureato alla Luiss ed è stato in Francia per un anno. Prato è molto istrionico ed è dotato di rilevanti abilità seduttive ma, al contempo, è ossessionato da perversioni di natura sessuale. La sinergia tra queste due personalità, nel contesto di quei giorni, ha prodotto la circostanza dell'omicidio di Luca Varani". Diversa, invece, la disamina dello psichiatra. "Abbiamo due soggetti: uno tendenzialmente bisessuale e l'altro dichiaratamente omosessuale - spiega il professor Meluzzi - Entrambi sono molto spinti sul piano della cocaina ed entrambi hanno delle evidenti componenti sadiche. Insieme sperimentano un sorta di impazzimento, di follia a due, quella che Robbe Grillet definisce 'spostamenti progressivi del piacere' introducendo forme sadiche e masochistiche di orgasmo cocainico culminanti con l'omicidio". Ma qual è il movente del delitto, delirio o premeditazione?

Marco Prato, uno dei due arrestati per l'omicidio di Luca Varani
Marco Prato, uno dei due arrestati per l'omicidio di Luca Varani

"Volevamo fare del male a qualcuno"

Interrogato sui fatti, Marco Prato spiega agli inquirenti le motivazioni sottendenti il delirio omicida concertato la notte del 4 marzo con Manuel Foffo. "Volevamo fare del male a qualcuno", riferisce al pm Francesco Scavo. Ma le dichiarazioni dell'indagato non convincono gli investigatori che, pertanto, decidono di vederci chiaro. Attraverso l'incrocio di uno sfitto scambio di comunicazioni intercorsi nei mesi precedenti all'omicidio tra i ragazzi coinvolti, emergono nuovi dettagli sulla relazione tra Foffo e Prato. I due si sono conosciuti il giorno di capodanno e, anche in quel frangente, hanno consumato insieme stupefacenti nell'appartamento di via Igino Giordani. Ma c'è dell'altro. Prato sarebbe in possesso di un video, registrato col proprio smartphone, della circostanza in cui pratica del sesso orale a Manuel. Quest'ultimo, temendo la divulgazione del filmato in rete, avrebbe quindi continuato a frequentare il pr romano assecondandone i pericolosi vezzi. Complice l'abuso di cocaina, e un profondo senso di frustrazione che entrambi sperimentano a livello individuale, tra i due sarebbe poi nata una sorta di sinergia malevola concretatasi quella tragica notte. "Entrambi sperimentano una frustrazione a livello personale ed è proprio questo che li lega. Foffo si fida di Prato, tanto da confidargli di avere l'intenzione di uccidere il padre. Prato si rende disponibile ad aiutarlo perché vuole porre in essere comportamenti che possono dare seguito alle sue perversioni sessuali. È in questa dinamica che si stabilisce un livello di complicità, un'empatia tra i due". La quantità di droga che Foffo e Prato hanno consumato in quella lunga settimana ha fatto precipitare la situazione in un vortice sempre più turbinoso. "Non è questo il fattore che ha determinato l'azione omicidiaria. Sicuramente, la droga – in tal caso, la cocaina – è stato un facilitatore - chiarisce la criminologa - Nel senso che ha favorito la condotta criminosa dei due soggetti coinvolti ma, di certo, non è pensabile che l'uso di stupefacenti sia stato incisivo al punto da spiegare in modo esaustivo quanto accaduto". "La droga contribuisce ad aumentare l'eccitazione e l'attività adrenalinica - continua Meluzzi - Direi che è stato un fatto piuttosto decisivo, un moltiplicatore di effetti". Resta però un ultimo dubbio da chiarire: Luca Varani è stata una vittima designata?

Luca Varani: una vittima casuale?

Resta da capire il motivo per cui la scelta sia ricaduta proprio su Luca Varani. Nelle ore antecedenti al delitto, vengono invitate al festino altre tre persone ma nessuna si soffermerà all'interno dell'appartamento di via Igino Giordani per poco più che una manciata di minuti. "Luca Varani non è una vittima designata ma ha tutte le caratteristiche che possono soddisfare la perversione di natura sessuale di Marco Prato. - afferma la dottoressa Bolzan - Prima di lui, in quella casa hanno messo piede altre 3 persone e, altro aspetto non trascurabile, nessuno che rientri nella cerchia di amici di Manuel Foffo. L'unico contatto riconducibile a Foffo è quel ragazzo che Manuel ha conosciuto una sera mentre si trovava all'esterno di una pizzeria sulla Tiburtina, ma poi viene allontanato alla svelta dall'appartamento. A quel punto, Prato contatta Varani in quanto di lui ha una scarsa considerazione e ritiene che sia un soggetto manipolabile. Luca si reca in via Igino Giordani con l'intento di ricevere soldi in cambio di una prestazione. E Prato non vuole altro che questo, ovvero, una persona con la quale non abbia un rapporto paritetico ma di sudditanza psicologica". Snocciolata a fondo la questione, e chiarito il movente dell'assassinio, Manuel Foffo e Marco Prato vengono tratti in arresto: devono rispondere entrambi del reato di omicidio premeditato aggravato dalla crudeltà.

Il suicidio di Marco Prato in carcere

Mentre Manuel Foffo sceglie la formula del rito abbreviato, assicurandosi la riduzione di un terzo della pena, Marco Prato preferisce seguire l'iter giudiziario ordinario. Il 31enne, recluso nel penitenziario di Velletri, continua a protestarsi innocente nonostante su di lui gravino pesanti indizi di colpevolezza. Il 19 giugno del 2017, a 24 ore dalla prima udienza del processo, Marco decide di farla finita. Infila la testa in un sacchetto di plastica e inala il gas del fornellino di cui dispone in cella per cucinare: la morte sopraggiunge silenziosa, per asfissia. Accanto al corpo senza vita c'è una lettera d'addio indirizzata ai familiari, quasi fosse un testamento per la sepoltura: "Chiama Private & Friends, il centro capelli a piazza Mazzini per rigenerarmi la chioma prima di cremarmi - scrive - Mettetemi la cravatta rossa, donate i miei organi, lasciatemi lo smalto rosso alle mani. Mi sono sempre divertito di più ad essere una donna".

La condanna di Manuel Foffo

Il 10 luglio del 2018 la corte d'assise di appello di Roma conferma la condanna per omicidio pluriaggravato a Manuel Foffo; il 3 luglio del 2019 la sentenza diventa definitiva. “Davanti a condotte criminali come questa oggetto del processo è difficile credere che possano essere commesse da un umano. Il polimorfismo da cui è affetto Foffo né l’intossicazione cronica da alcol giustificano quanto accaduto”, spiega il sostituto pg della Cassazione, sottolineando che “Varani era stato reso inerme ma non era incosciente, era capace di percepire le sofferenze che gli sono state imposte, in un’agonia di oltre due ore. Una morte lenta e atroce. Si è toccato l’abisso umano”. I legali di Foffo, Tiziana Crialesi e Gianmarco Conca, sostengono però che il loro assistito sia affetto da un "parziale vizio di mente", motivo per cui ne chiedono il trasferimento presso una struttura Rems. "Manuel non sta bene, ha bisogno di cure - spiega l'avvocato Tiziana Crialesi a ilGiornale.it - Non ho mai sostenuto che fosse innocente, né tantomeno lui ha negato le proprie responsabilità nell'omicidio di Varani. La condanna inflittagli è giusta, ma è un dato di fatto che sia una persona malata. Non è stato mai sottoposto a tso, non ha tentativi di suicidio alle spalle, ma non è in sé da anni. Ed è paradossale che un disturbo della personalità, certificato peraltro dagli stessi periti della Suprema Corte, sia stato poi irrilevante ai fini della sentenza definitiva. Manuel era sotto terapia farmacologica con Alcover da molto prima della circostanza omicidiaria, era un alcolista, cocainomane, un ragazzo devastato. Nessuno si sognerebbe mai di negare che il povero Luca Varani sia stato vittima di un'atroce mattanza, ma Foffo non può essere abbandonato a se stesso. Lui sa bene che questo tormento lo accompagnerà per una vita intera, anche dopo aver scontato l'ultimo giorno di carcere, però non si può ignorare la sua sofferenza patologica. L'ultima volta che l'ho incontrato era un'ameba, sepolto dentro di sé. Ed è umanamente avvilente vedere un giovane uomo, al di là del reato commesso, sprofondare in un abisso personale. Io non faccio distinzioni tra "persone di serie a e b", per questo sostengo che quel ragazzo debba essere trasferito in una struttura protetta per potersi curare. Manuel va aiutato".

Il male esiste?

La storia di Luca Varani è senz'altro una tragedia umana di dimensioni abnormi, non solo per l'efferatezza della circostanza omicidiaria, ma per le drammatiche circostanze che ne sono conseguite. Alla fine di questa vicenda turbolenta, segnata da droga e coltelli, resta una sola domanda ancora irrisolta: il male esiste? "Sì, il male esiste e l'omicidio di Luca Varani ne è una prova evidente - afferma lo psichiatra Alessandro Meluzzi – Non c'è un movente logico in questa storia. Il tentativo di trovare spiegazioni razionali deriva dalla convinzione pseudo-buonista della nostra società. Ma la malvagità esiste e bisogna prenderne atto". "Dovremmo chiederci se potremmo mai essere come Foffo, Prato o Varani - conclude con un'accorta riflessione la criminologa Bolzan - Non siamo portati a immedesimarci neanche un po' nei panni degli altri. Rileggendo ex post le vite personali dei soggetti coinvolti, è probabile che si riscontrino similarità col vissuto personale di ciascuno di noi. Questa non è stata una ragazzata, loro dei segnali di instabilità alle rispettive famiglie li avevano mandati.

Forse, dovremmo imparare ad ascoltare e osservare chi ci sta intorno, in questa società non c'è più empatia".

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