Guerra in Israele

Il ruolo della Cina nella guerra che colpisce tutti

Seguiamo i soldi e i commerci, per cercare di capire come l'attacco di Hamas contro Israele sia solo un pezzo del puzzle

Il ruolo della Cina nella guerra che colpisce tutti

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Seguiamo i soldi e i commerci, per cercare di capire come l'attacco di Hamas contro Israele sia solo un pezzo del puzzle. Certo i terroristi odiano gli ebrei. E godono di un certo «consenso religioso». Ma davvero qualcuno può credere che queste azioni criminali non abbiano una «ragione» politica oltre all'annosa questione palestinese? Ecco perché val la pena seguire i soldi. Fino ad oggi si è detto che dietro all'attacco ci sono gli interessi iraniani. Giusto. Gli Ayatollah considerano Israele il male assoluto. Ma Teheran è un gigante dai piedi di argilla. Fiaccato dall'embargo, dipende da sei miliardi di proventi del petrolio che l'America a suo piacimento blocca e scongela. L'Iran è una piccola economia: per intendersi non è minimamente paragonabile all'altro paria internazionale, che oggi è la Russia. Il suo prodotto interno lordo non supera i 360 miliardi: Israele da sola vale un terzo di prodotto in più. Iran e Hamas da soli, sullo scacchiere internazionale, non vanno da nessuna parte. Ma soli, in effetti, non sono. Il 7 ottobre sono infatti riusciti a rompere la storica pace che si stava costruendo tra sauditi e israeliani. E questa rottura vale un mucchio di quattrini. Basta appunto seguire i commerci per capire che il grande beneficiario di questo stallo si chiama Repubblica popolare cinese. Non Mosca, non mondo Arabo, non Turchia, ma Pechino. Non è un caso che i primi ad attaccare diplomaticamente Tel Aviv siano stati proprio i cinesi.

Occorre a questo punto fare un passo indietro. Nei prossimi anni, il principale consumatore di petrolio sarà l'India. La sua politica è ambiziosa, la sua tecnologia è pronta per la Luna, la sua popolazione già oggi supera quella della Cina. E l'India, insieme a noi europei, sarebbe stato il maggior beneficiario degli accordi sauditi con Israele. La sua «via del Cotone» (in contrasto proprio con la cinese «via della Seta») prevede un grande corridoio infrastrutturale e di accordi commerciali che parte dall'India appunto, passa per i sauditi, raggiunge Israele e sbarca nei porti europei del Mediterraneo. Giorgia Meloni, non a caso, proprio il 2 marzo scorso, mentre allentava i legami con i cinesi, li stringeva con Nuova Delhi.

L'obiettivo terroristico è certamente Israele. Ma quello economico è l'asse che si stava creando tra India, sauditi, Israele ed Europa. Ecco perché i cinesi non condannano i terroristi, con i loro coltelli e kalashnikov.

Ecco perché noi dovremmo stare due volte con Israele.

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