Cronache

Perché De Magistris non è Paolo Borsellino

Salvatore Borsellino ha paragonato "Giggino" al fratello Paolo: "Anche lui è un pm morto". Ma le differenze tra i due non sono poche...

Perché De Magistris non è Paolo Borsellino

"Dovete essere vicini al vostro sindaco. Quando era pm e gli hanno tolto le inchieste, è come se lo avessero ucciso. Luigi è un altro pm morto". Salvatore Borsellino paragona il fratello Paolo a Luigi De Magistris. Durante il suo intervento per l'intitolazione dell'aula magna dell'istituto Paolo Borsellino, il fratello del giudice ucciso dalla mafia nella strage di via D'Amelio il 19 luglio del 1992 ha messo sullo stesso piano le vicende umane e professionali dei due magistrati. Le parole di Borsellino hanno toccato e non poco De Magistris che si è lasciato andare alla commozione. Ma tra il magistrato De Magistris e il magistrato Borsellino ci sono alcune dfferenze che è doversoso ricordare. A parlare sono i processi. Borsellino prima che il tritolo lo fermasse aveva spedito in carcere con Giovanni Falcone in occasione del maxi processo decine di affiliati a Cosa Nostra per l'ammontare di 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione. Fatti e numeri che portarono il magistrato siciliano ad esporsi in prima persona contro Cosa Nostra. Scelta che ha pagato con la vita. Lo stesso non si può dire di De Magistris, campione di archiviazioni e assoluzioni. De Magistris, come ricordano Gian Marco Chiocci e Simone Di Meo in De Magistris, il pubblico mistero, esordisce nel 1995 accusando Antonio Lo Torto di evasione fiscale. Lo Torto muore durante il processo e scatta la prima archiviazione per Giggino, "per morte del reo".

La carriera di De Magistris scivola via poi con altre archiviazioni e assoluzioni degli imputati. Inutile ricordare i casi di Why not” e “Toghe lucane” per finire con "Poseidon". Dopo questi fallimenti arriva la discesa in politica e la scalata a palazzo San Giacomo. "Giggino" molla la toga per impugnare il megafono. E anche su questo fronte marca una differenza netta con Borsellino. Il giudice palermitano non ha mai mollato la toga per la politica. L'unico suo comizio che si ricordi, se così si può chiamare, è un accorato appello nel cortile della biblioteca di Casa Professa a Palermo subito dopo la strage di Capaci per ricordare il sacrifcio di Falcone: "La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità".

Pochi giorni dopo questo intervento, Borsellino trovò la morte consegnando alla memoria l'immagine di un giudice che alle parole preferiva i fatti.

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