Il rigore giusto e quello sbagliato

Che il governo Meloni abbia abbracciato la religione dei "saldi", cioè regoli la sua politica guardando con attenzione i conti tendendo al pareggio di bilancio, è indubbiamente un pregio

Il rigore giusto e quello sbagliato

Che il governo Meloni abbia abbracciato la religione dei «saldi», cioè regoli la sua politica guardando con attenzione i conti tendendo al pareggio di bilancio, è indubbiamente un pregio. Quasi un obbligo per superare la diffidenza - per non dire il pregiudizio - con cui a Bruxelles guardavano all'avvento del nuovo esecutivo. Solo che ispirarsi al nuovo credo con lo spirito dei neofiti rischia di trasformare un approccio corretto in una sorta di «fondamentalismo» dei numeri. Soprattutto si perde quella visione pragmatica dei problemi che è l'unico modo per superare una congiuntura difficile come l'attuale. È il caso della scelta di non protrarre il taglio delle accise sulla benzina, decisa dal governo Draghi, che in questi giorni ha fatto impennare il costo dei carburanti.

È comprensibile la prudenza con cui si muove il nuovo esecutivo, ma è anche vero che per un Paese come il nostro in cui, per esempio, l'88% dei prodotti alimentari che troviamo sugli scaffali di negozi e supermercati viaggiano su strada, l'aumento di benzina e gasolio ha un forte impatto sul carovita e sull'inflazione. Senza contare che l'Italia in Europa è prima nella tassazione sul diesel, con 0,958 euro di tasse per ogni litro. C'è, quindi, il rischio che per una giusta politica di rigore il governo scelga - come ha fatto - di non spendere quel miliardo al mese che comportava il mantenimento del taglio delle accise, per poi accorgersi un domani che per un riflesso inflazionistico il risparmio di oggi costerà molto di più alle casse dello Stato e in termini sociali.

Non si può dimenticare, infatti, che noi viaggiamo attualmente con un'inflazione superiore di diversi punti a quella di Germania, Francia e Spagna. O, ancora, che l'aumento del prezzo determinato dal ritorno della accise ha dato - e darà - a tanti l'occasione di speculare (dalle pompe di benzina fino al costo del trasporto delle merci e, quindi, del prodotto finale). E, si sa, che nel nostro benedetto Paese se i prezzi salgono poi non tornano più giù.

Infine un meccanismo così perverso potrebbe anche incidere sul consenso dell'esecutivo: l'aumento della benzina, infatti, fatalmente coincide con le bollette più alte di luce e gas; le prossime probabilmente saranno più basse visto che il prezzo del gas all'origine è quasi tornato a livelli normali, ma quelle di oggi risentono ancora dei picchi degli scorsi mesi. Per cui benzina costosa e bollette esose possono trasformarsi in una miscela esplosiva.

Ecco perché il governo avrebbe fatto bene a seguire i consigli di chi nella maggioranza chiedeva di rivedere la scelta sulle accise o, comunque, un intervento deciso sul prezzo dei carburanti.

Si è preferito optare per la «gogna» ai benzinai che speculano pubblicando la media settimanale del prezzo «corretto» alla pompa: un provvedimento sensato che potrebbe però rivelarsi un pannicello caldo. Detto questo, sarebbe comunque il caso che nelle stanze dei bottoni si riflettesse su un tema per il futuro: come esistono debito buono e debito cattivo, esistono anche rigore giusto e rigore sbagliato.

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