"Riservatezza": la Cassazione condanna l'esibizionismo delle toghe

Il monito degli ermellini: "Non eccedere nell'esibizione virtuale, al fine di non pregiudicare il necessario credito di equilibrio, serietà, compostezza e riserbo di cui ogni magistrato deve godere nei confronti della pubblica opinione"

"Riservatezza": la Cassazione condanna l'esibizionismo delle toghe

"Si raccomanda la riservatezza". È un consiglio che suona come un diktat quello che la Cassazione ha rivolto ai magistrati italiani. E che riguarda anche, e soprattutto, la condotta "virtuale" delle toghe, specie sui social network.

Niente esibizioni virtuali, attenzione ad amicizie e adesioni a gruppi come da norme deonotologiche. Anche per quanto riguarda la sfera privata, sempre secondo il principio dell'autocontrollo. Perchè, sottolinea la Corte, ciò che si fa sul web "ove non amministrato con prudenza e discrezione, può vulnerare il riserbo che deve contraddistinguere l'azione dei magistrati e potrebbe offuscare la credibilità e il prestigio della funzione giudiziaria". La Cassazione lo ha precisato attraverso l'ufficio del Massimario, che ha risposto a un questionario arrivato dalla Corte supreme della Repubblica Ceca. E ha ricordato che esprimere opinioni su argomenti legati all'attività di ufficio può costituire un illecito disciplinare. Ma la novità riguarda la sfera privata, ambito per il quale viene raccomandata la riservatezza. E per i social, perché, ricorda la Corte, la partecipazione a gruppi o i follow e mi piace che abbiano rilevanza politica rischiano di ledere la credibilità complessiva della magistratura: la condotta sui social network "deve ritenersi limitata anche quando si riferisca ad espressioni o pubblicazioni di natura privata".

"I limiti - si legge nel documento della Cassazione - sono particolarmente penetranti con riguardo alle espressioni, esternazioni o pubblicazioni che abbiano legami con i contenuti dei procedimenti trattati nell'ufficio o con le persone in essi coinvolti, giacché la legge recante la disciplina degli illeciti disciplinari stabilisce che il magistrato esercita le funzioni con correttezza, riserbo ed equilibrio e rispetta la dignità della persona nell'esercizio delle funzioni".

La regola della sobrietà impone anche "di non eccedere nell'esibizione virtuale di frammenti di vita privata che dovrebbero restare riservati, al fine di non pregiudicare il necessario credito di equilibrio, serietà, compostezza e riserbo di cui ogni magistrato deve godere nei confronti della pubblica opinione". Una tirata d'orecchie, quella degli ermellini di Piazza dei Tribunali, per le troppe toghe che negli ultimi trent'anni hanno dimenticato l'importanza della riservatezza.

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