
Le scuole dei regimi democratici sono quelle in cui non si impone una verità unilaterale; sugli argomenti in cui non vi sia una communis opinio, si riporta una pluralità di tesi. Sono anche quelle dove le fonti sono verificate, sono scientifiche, non di parte. Sono quelle dove i fatti narrati sono veri. Le scuole che rispondono ad una concezione totalitaria sono quelle che fanno esattamente il contrario.
In un regime democratico la scuola non ha lo scopo di indottrinare il cittadino, ma di valorizzare la sua persona, di metterlo nelle condizioni di crescere sviluppando i propri talenti, avendo gli strumenti per fare scelte consapevoli. La scuola democratica è per la persona. Nella concezione totalitaria la persona è funzionale alle logiche della scuola, ovverosia, se si tratta di scuola statale, alle logiche dello Stato.
In questi giorni ho sentito affermazioni che con la scuola democratica nulla hanno a che fare e che esprimono una logica totalitaria. Ho sentito dire per esempio che se al genitore di un bimbo non piace una certa educazione impartita dalla scuola su temi particolarmente controversi, come quelli della identità di genere (si badi bene educazione, non istruzione, due concetti distinti dalla Costituzione), lo stesso dovrebbe dare al figlio una istruzione parentale, cioè dovrebbe ritirare il figlio dalla scuola pubblica. Questa concezione per cui la scuola pubblica potrebbe imporre scelte educative su temi sensibili, allontanando gli alunni delle famiglie che non fossero d'accordo, contrasta con l'articolo 30 della Costituzione, che attribuisce ai genitori il diritto originario di educare i figli e tradisce il messaggio più autentico dei Costituenti che nella educazione assegna alla scuola il compito di completare, integrare, l'educazione iniziata in famiglia. Realizza invece la missione della scuola totalitaria che ha il compito di costruire l'uomo nuovo, indottrinando gli studenti.
Gli stessi ragionamenti si sono sentiti con riguardo ad un libro di storia per i licei.
Si è confusa la libertà di opinione con la libertà di alterare le informazioni fornendo una narrazione unica su fatti al cui riguardo vi è quanto meno una pluralità di giudizi, legittimando così una concezione della storia caratterizzata da un pensiero unico.
Si è arrivati al grottesco di associazioni scientifiche che legittimano giudizi storiografici fondati esclusivamente su inchieste giornalistiche politicamente orientate, con evidente sprezzo verso la serietà della ricerca scientifica.
Si è giunti a considerare legittime affermazioni palesemente false, come quella secondo cui l'attuale governo farebbe la guerra ai migranti. Anche ammesso che contrastare la tratta degli immigrati e cercare di impedire ingressi illegali possa considerarsi, senza peraltro citare diverse valutazioni e dunque rigettando una narrazione plurale, fare la guerra" alla immigrazione clandestina, è di tutta evidenza che il giudizio non può in alcun modo estendersi agli interventi complessivi in tema di politiche governative sulla immigrazione. Basti considerare il piano Mattei oppure l'azione volta a favorire una immigrazione qualificata e già formata svolta per esempio dal mio Ministero. Far la guerra ai migranti esprime un giudizio certamente di parte, legittimo in un libro di polemica politica, ma non in un testo scolastico. Non casualmente il codice di autoregolamentazione della Associazione italiana degli editori del settore editoriale-educativo indica fra i doveri delle case editrici, quello di verificare la correttezza e la veridicità delle fonti e dei dati utilizzati dagli autori, oltre ad imporre una informazione sempre rispettosa della pluralità delle idee.
L'affermazione di impostazioni fortemente ideologiche e settarie fa dubitare della piena maturità democratica che sta a fondamento di posizioni purtroppo diffuse nel dibattito politico e culturale.
*ministro della Pubblica istruzione