Se il trambusto di Donald non fa più notizia

C'è un momento in cui il potere smette di impressionare. Non perché sia diventato più debole, ma perché si è svuotato. È quello che sta accadendo a Donald Trump

Se il trambusto di Donald non fa più notizia
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Le parole hanno un peso specifico. Ci sono quelle che lasciano un'orma profonda. Ce ne sono altre che sconquassano i mercati o scuotono il sonno delle diplomazie. È successo anche con Donald Trump. La riconquista della Casa Bianca ha dato il via a un'altalena di emozioni: sorpresa, stupore, irritazione, incredulità, rabbia, paura, sconcerto, attesa, speranza, delusione, incertezza, dissipazione dell'ultimo grammo di pazienza, imprecazione con gesto veloce della mano con l'invito di andare a cercare fortuna altrove. Il presidente degli Stati Uniti può essere sfibrante. Il sospetto adesso è che i suoi colpi di teatro si stiano sgonfiando.

C'è un momento in cui il potere smette di impressionare. Non perché sia diventato più debole, ma perché si è svuotato. È quello che sta accadendo a Donald Trump. Parla, urla, minaccia dazi e sanzioni, evoca guerre commerciali e batoste diplomatiche, ma Wall Street non trema. Non c'è panico, non c'è euforia. C'è indifferenza. Ed è la cosa più grave che possa accadere a chi ha costruito la propria fortuna sull'essere l'incarnazione dell'imprevedibile.

Il mercato ha imparato a ignorarlo. E non perché sia diventato prevedibile, ma perché poco credibile. Gli algoritmi dell'economia non reagiscono più al suo linguaggio da wrestling geopolitico. Lo ascoltano come si ascolta il vecchio zio al pranzo di Natale che ripete sempre la stessa storia. Un tempo bastava un tweet per far crollare titoli o rialzare il prezzo dell'alluminio. Oggi, niente. È un silenzio che pesa più delle parole.

Trump minaccia dazi? Adesso i mercati restano lì, imperturbabili. Dice che l'Europa è nemica commerciale, che la Cina manipola la moneta, che rimetterà mano agli accordi internazionali, ma nessuno compra o vende per questo. È come se gli attori globali finanza, diplomazia, opinione pubblica avessero costruito un filtro mentale: ascolta, annuisci, ignora.

È quello che sta accadendo in questi giorni, magari domani sarà diverso, forse Trump riuscirà di nuovo a impressionare il mondo. L'impressione è che però gli altri si siano presi una pausa.

Trump non è cambiato. È sempre lo stesso: istrionico, aggressivo, manicheo. Ma è cambiato lo sguardo su di lui. È come un illusionista che ha ripetuto troppe volte il trucco del coniglio nel cilindro. La prima volta ti sorprende, la decima ti annoia. Non basta più il clamore. Serve il seguito. E lì, qualcosa si è rotto. Non è solo una questione di consenso elettorale, ma di credibilità sistemica. Un presidente ha bisogno di far credere che ogni sua parola possa trasformarsi in azione. Quando questo meccanismo si inceppa, non resta che la caricatura del potere.

Questo significa che il presidente mago deve rendere reale una magia, o qualcosa che gli assomigli.

I dazi, per chiarire, non sono un obiettivo ma tutt'al più uno strumento più o meno efficace per proteggere l'industria americana. Serve un risultato concreto in politica estera o un segnale di svolta economica. Trump parla di tutto ma c'è una cosa che ancora si fatica a capire, il progetto. Cosa vuole fare l'America da grande?

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